di Marco Ottanelli
Nelle settimane passate, nelle dure, durissime giornate dei vertici europei che hanno visto incontrarsi, e scontrarsi, i capi di governo dei 27 paesi UE, e che hanno portato alla storica decisione del Recovery Fund (storica perché, per la prima volta, le varie nazioni non hanno solo messo in comune le risorse, ma anche i debiti, con larghissimo vantaggio per i paesi dai bilanci peggiori, come l’Italia), il largo spettro di posizioni assunte dai vari governi è stato, diciamo così, semplificato, da stampa e politica nostrane, nella divisione tra due fronti, i buoni (cioè noi, la Spagna e chi ci dava comunque ragione) e i cattivi, detti di volta in volta virtuosi, parsimoniosi, esigenti, ed infine – sarcasticamente- frugali. Per settimane, noi abbiamo chiesto loro soldi, sconti, donazioni, miliardi a fondo perduto (e questo dopo che il Patto di Stabilità, con tutte le sue limitazioni ed i suoi vincoli era già stato rapidamente sospeso di fatto!), abbiamo chiesto loro di intaccare le loro economie e di attingere alle tasse pagate dai lori cittadini, e, a fronte della loro generosità, li abbiamo pure accusati (Paesi Bassi in testa) di essere egoisti, crudeli, insensibili, truffatori ed evasori fiscali.
Ognuno ha giudicato e giudicherà l’accordo, quanto e come è stato deciso, e l’atteggiamento tenuto dai capi di stato e di governo, ma crediamo sia interessante vedere chi sono, e come sono governati, quei paesi che ci son stati rappresentati come nostri “nemici”, e, assai schematicamente, quale è la loro posizione nei rapporti economici e giuridici nella UE.
– Partiamo da una considerazione generale che riteniamo importante e basilare: ogni governo, ogni leader, ha rappresentato, nel Consiglio Europeo, il proprio paese, il proprio parlamento (comprensivo di opposizioni e minoranze), il proprio elettorato ed i propri cittadini. Così come Conte e Sanchez hanno lottato per rappresentare al meglio i bisogni e le volontà di Italia ed italiani e Spagna e spagnoli, Rutte e Kuntz hanno lottato per rappresentare al meglio i bisogni e le volontà di Paesi Bassi e olandesi e di Austria e austriaci. Pensare che potessero e dovessero concederci tutto quel che volevamo senza che ciò si riverberasse nel loro rapporto fiduciario con i propri cittadini non solo era sciocco e superficiale, ma impensabile. Il video dell’operaio olandese che chiede al suo primo ministro di non dare un euro agli italiani è buffo ma incredibilmente paradigmatico: ai lavoratori nordici, piaccia o non piaccia, non va giù che con le loro tasse, che pagano sicuramente in modo molto più capillare di noi (l’evasione fiscale da quelle parti è minima, rispetto al sud Europa, per non parlare proprio dell’Italia), vengano pagati i nostri debiti pregressi, quelli nuovi di zecca e quelli futuri, e che vengano pagati coi loro sacrifici (informatevi su quanto poco gratuiti siano i sistemi sanitari nordici!) i bonus vacanza ai nostri abbronzati bagnanti. Troppo semplicistico? Certo, così come semplicistico è stato il mostrare il fronte dei frugali come algidi e cinici oppressori di un popolo (il nostro) bello, bravo e buono.
– Una seconda questione, che deriva dalla prima, è quella che ancora oggi, e forse oggi ancor di più di prima, come temevamo, la UE ha dimostrato di fare grandi cose, sì, ma non come un soggetto unico, vivo e vitale in sé stesso, ma come mero aggregato di stati accomunati da una serie di vincoli, ma sempre più decisamente e decisivamente indipendenti dalle istituzioni della UE stessa, che, in questa vicenda, hanno avuto un ruolo forse non del tutto marginale, ma sicuramente secondario. Le istituzioni europee hanno magari svolto opera di mediazione, sollecito e coordinamento, ma l’idea di Europa come unicum si è allontanata ancora un po’, spinta dalle opposte esigenze e dagli opposti egoismi.
– Un terzo punto da sottolineare, che a sua volta è conseguente ai primi due, è che oggi la distinzione tra sovranisti ed europeisti non ha più alcun senso. Anzi, abbiamo vissuto un ribaltamento ed un capovolgersi totale delle posizioni, in certi casi ad un intrecciarsi tra le due, nel gioco politico-strategico del Recovery Fund e del MES. Abbiamo assistito a paesi, partiti e governi storicamente considerati europeisti che sono ufficialmente diventati i paladini del rigore e della minor collaborazione possibile, del principio dell’interesse nazionale proprio, e, al contrario, si sono fatti portavoce della condivisione, dell’economia sussidiata da Bruxelles e della necessità di trasferimenti da un paese all’altro di cifre per miliardi di euro paesi, partiti e governi notoriamente nazionalisti, sovranisti, anti europei (dai cattolici fondamentalisti polacchi al M5S, passando per Fratelli d’Italia e la semi-autocrazia cattorevanscista di Orban). Pare quasi che tanto meno un paese, un partito, un governo desiderasse l’integrazione ed il rispetto delle regole di appartenenza al club europeo, tanto più ne invocasse l’intervento senza limiti né, ecco però, senza neanche limitazioni. Una appartenenza ad un club a senso unico, ma contrapposta a certi atteggiamenti alla “arrangiatevi” (che, va ammesso, ci son stati) di coloro che della bandiera blu con le stelline hanno fatto vessillo e vanto.
– Quarta considerazione: il club. L’appartenenza. L’Italia, assieme ad altri paesi, ha chiesto (diremmo preteso, leggendo ed ascoltando politici e giornali) aiuto ai partners europei invocando un vincolo, un obbligo di solidarietà dagli altri soci nel momento della crisi da pandemia. Non risulta che alla richiesta di sconti deroghe e donazioni si sia comparata la nostra situazione con quella dei partners. Anche oltre confine il covid-19 ha mietuto stragi di vite umane e di posti di lavoro; anche oltre confine le economie del turismo, dei trasporti, della produzione sono state pesantemente danneggiate; anche oltre confine sanità e rapporti sociali sono stati messi a dura prova. Nazioni come la Svezia, il Lussemburgo, il Belgio ed i Paesi Bassi hanno avuto, in rapporto alla popolazione, tanti e forse più infetti e lutti di noi. Dovesse essere quello il parametro, forse dovremmo mandare noi italiani un po’ di soldi sulle rive del Mar del Nord o del Baltico. E tutto questo a fronte, da parte nostra, di una costante, umiliante, ma pervicace propensione alla violazione delle regole di quello stesso club al quale chiediamo donazioni aiuti e generosità: mentre con una mano il governo firmava patti per ricevere miliardi, con l’altra rimandava ancora una volta, in un coro di approvazioni di sindaci e presidenti di regioni, la applicazione della direttiva Bolkestein.
Europeista è chi Europa fa
Scorrere i quotidiani italiani più diffusi e le dichiarazioni dei politici dagli ultimi due anni in qua, fa sorridere: coloro che venivano esaltati come i salvatori della Unione Europea, della democrazia, della stessa civiltà perché avevano vinto le elezioni contro i sovranisti pericolosi ed egoisti (Rutte nei Paesi Bassi, Kunz in Austria, il socialdemocratico leader svedese, per non parlare delle prime ministre danesi e finlandesi, che avevano lo straordinario merito di essere di sinistra, europeiste, ma sopratutto donne!), oggi son diventati i brutali affamatori, gli avidi speculatori sulla crisi altrui e coloro che spaccano l’Europa e la portano al naufragio.
Altri, cioè quelli che erano etichettati come volgari populisti, ignoranti incapaci e sordidi sovranisti, come gli spagnoli di Podemos, i pentastellati italiani, la destra greca, sono improvvisamente diventati depositari dei beni comuni europei ed europeisti, i paladini dell’unità e della solidarietà, i custodi del Buon Governo.
Il fatto vero ed inoppugnabile è che l’Europa non è solo quella dei soldi e delle banche, come piaceva dire, anche questo a parti invertite, fino a poco tempo fa; l’UE è anche e sopratutto condivisione di principi, valori, regole e doveri, i quali tutti insieme garantiscono anche i diritti. E se su valori e principi ha insistito con determinazione Mark Rutte, che voleva condizionare il Recovery Fund al rispetto e alla coerenza con lo Stato di Diritto di livello europeo, i democratici europeisti del sud si sono completamente disimpegnati su questo, lasciando solo il collega olandese, pur di accaparrarsi il voto di polacchi, ungheresi e balcanici. Anzi, il governo italiano M5S-PD ha finito per appoggiare Polonia e Ungheria. Principi sbandierati come intangibili ai tempi del Conte I, son stati , dagli stessi politici e partiti, sveduti per il vil denaro ai tempi del Conte II. Chi ha spezzato la UE, rischiando di farla naufragare, in questo caso? E chi ne mina, in realtà, la tenuta e l’efficienza, da anni se non da decenni?
Accennavamo al concetto di club, per significare una unione di reciproci doveri e di compartite responsabilità, gli uni e le altre poste a garanzia di un comune percorso di pari diritti ed opportunità. Ci sono paesi più o meno ligi nel rispetto di queste regole e normative, paesi più o meno volenterosi di integrarsi.
Un buon modo per avere una visione plastica di come e quanto un dato paese sia rispettoso delle norme europee e quindi sia europeista, è guardare a quante norme esso infrange, non rispetta, non recepisce nonostante siano obbligatorie per tutti. Non è la misura perfetta, ma può dare il senso di quanto oggettivamente un paese agisca nel senso della comune armonia, o faccia un po’ come gli pare, e agisca per il suo egoistico bene proprio, in barba o in offesa alle altre nazioni e agli altri popoli della Unione.
Perché come in ogni contesto, si presume che tanto più meriti chi tanto più dimostra di essere degno del premio (o del favore): nella UE parrebbe logico che gli stati che più ricevono, siano quelli che più si attengono alle normative, più applicano le direttive, più sono ligi ai regolamenti (che spesso comportano sacrifici), che più si adattano e recepiscono i modi di agire e di usare le risorse comuni. Mentre chi è pigro, egoista, disubbidiente, inefficiente, perché mai dovrebbe ricevere soldi e favori?
Diamo una occhiata al grafico che segue. Esso indica quante siano le procedure di infrazione aperte nei confronti di ogni paese. In parole povere, indica quanti “processi in corso” ogni paese abbia per non aver applicato le norme europee e per non aver neanche risposto a solleciti e richiami
Come è immediatamente percepibile i paesi nordici sono i più ligi, onesti, conseguentemente europeisti, hanno ceduto la loro sovranità a nostro favore; mentre i paesi del sud mediterraneo sono i meno precisi, meno affidabili, meno meritori quindi. In altre parole, la quasi totalità dei frugali e cattivi rispetta le regole, con i costi che questo comporta, mentre la quasi totalità dei paesi all’eterna ricerca di soldi, ma tanto buoni, le vìola e le ignora.
L’Italia, signori, è al ben poco invidiabile secondo posto in questa classifica dei discoli, con la bellezza di ben 91 procedure di infrazione aperte. Questi procedimenti rappresentano solo, come dire, la coda, l’ultima parte delle condotte illegali del nostro paese. Le altre, passate in giudicato, sono le condanne, che ci costano miliardi in multe e sanzioni. Per carità di patria le ignoriamo, e lo facciamo anche perchè, essendo le procedure iniziate anni e anni addietro, sarebbero sempre imputabili ad un prima che sembra risalire alla notte dei tempi. Limitiamoci a quanto stiamo violando adesso, ai processi in corso, ai quali potremmo porre termine con un po’ di buona volontà: ci sarebbe da vergognarsi, invece che da battere i pugni sul tavolo. Anche perché la maggior parte di tali infrazioni sono relative a questioni ambientali: sta a significare che da anni, a volte decenni, ci impuntiamo nell’avvelenare noi stessi, i nostri figli, l’Europa ed il Mondo, e nonostante ciò vorremmo soldi a pioggia, senza sanare né una discarica né costruire un depuratore a norma.
Chi sono, da chi sono governati, e come sono politicamente orientati i nostri nemici
(scheda analitica al termine dell’articolo)
Stampa e politici italiani si sono concentrati, nel descrivere il fronte dei frugali come quello di paesi a noi ostili, avversari, nemici, e si sono accaniti, nei loro veementi commenti sul paese e sul governo indubbiamente più ostico, ma anche quello, tra essi, più ricco, popoloso e di peso nella UE: il Paesi Bassi guidati da Mark Rutte, che in effetti hanno preso un po’ la leadership di quanti erano restii alla condivisione pura e semplice del debito, e di quanti chiedevano condizioni e garanzie per concederci fondi e prestiti di favore.
Ma quali erano le altre nazioni europee sulla linea Rutte? Sicuramente, l’Austria, e anche di essa abbiamo sentito parlare, anche a causa delle dichiarazioni piuttosto nette del suo giovane Cancelliere, Kunz. C’erano poi gli scandinavi Svezia, Finlandia e Danimarca, tre nazioni notoriamente sane dal punto di vista fiscale, di bilancio e di diffusa onestà, e tutte e tre storicamente solide nel loro generoso welfare. Seguivano i tre stati baltici, Estonia, Lettonia e Lituania, piccoli come numero di abitanti, grandi beneficiari dei fondi strutturali europei, ed esempio mirabile del buon utilizzo degli stessi; Si univa ad essi, in ultimo, anche quella che una volta faceva parte dei “poveri” dell’Unione, l’Irlanda, la cui durissima esperienza durante la crisi del 2009 e della pesantissima cura da cavallo che le sottopose la troika ( cura da cavallo in molti sensi: in Eire dovettero portare i purosangue degli ippodromi ai macelli comunali…) ha indotto partiti e popolazione ad essere molto accorti e severi quando si tratta di spender soldi duramente risparmiati, sopratutto se a favore di un paese (l’Italia) che la troika non la ha mai subita, nonostante gli strilli dei nostri guitti da talk show che da 11 anni fanno credere il contrario, e che, a differenza dell’Irlanda, ha il PIL fermo da tempo immemorabile e sfora costantemente i parametri del Patto di Stabilità. L’Eire si era inizialmente schierata con Italia e Spagna sul concetto di eurobond, ma poi si è spostata sull’altro fronte concordando con Rutte sul rifuto del contributo a fondo perduto, ed insistendo sul concetto di prestito.
Nella veemente italica narrazione della trattativa sul Recovery Fund, lo si è detto, ben di rado si sono analizzate le posizioni, le ragioni, dei frugali, i quali, lo ridiciamo ancora, dovevano agire per la tutela, e per conto, dei loro elettorati e cittadini, ma si è preferito demonizzarne società, struttura e offenderne popoli e governanti. Un esempio su tutti, e neanche il più offensivo: la ossessione nel definire i Paesi Bassi un paradiso fiscale. La questione è delicata: cosa è, come si definisce un paradiso fiscale, e cosa non lo è? Di sicuro sappiamo che l’Aia non è mai finita nella Black List, ma è stata citata come sede di agevolazioni fiscali spinte. Ma questo è sufficiente per bollare una nazione di essere sostanzialmente un covo di pirati? Ricordiamo che, con quei parametri, anche un terzo abbondante dell’Italia, che concede una serie interminabile di agevolazioni, facilitazioni ed esenzioni fiscali e previdenziali a chi installi una attività nelle nostre regioni del Sud potrebbe essere definito paradiso fiscale; anzi, nell’ultimo decreto, si è aggiunta un’altra facitazione fiscale, un ulteriore sconto per chi opera nel Meridione, da aggiungere alla lenzuolata del link precedente. Sempre l’Italia ha stretto accordi di tassazione agevolata con una settantina di multinazionali, e .una parte di questi tax ruling erano (sono?) addirittura segreti , segreti voluti dai partiti italiani oggi al governo.
Perché la nostra politica e la nostra stampa hanno così insistito sull’Olanda, e hanno taciuto sull’Irlanda? Dublino non solo ha garantito ai giganti informatici e tecnologici una tassazione così bassa da provocare una procedura di infrazione per il “caso Apple”, ma si è rifiutata di riscuotere i 13 miliardi di euro che Apple avrebbe dovuto versarle (e quindi, in parte, a tutta Europa), ha fatto ricorso alla Corte Europea e l’ha pure vinto! Tutto per non incassare quello che i partner UE pensavano fosse un dovuto. Però, mentre la Gabanelli dalle pagine del Corriere ci raccontava come gli olandesi ci sottraessero risorse, e Report, trasmissione della TV di Stato, invitava al boicottaggio delle piattaforme neerlandesi, nessuno ci ha istigato a boicottare l’isola gaelica e a non bere più la Guinness. Ammettiamolo: quella contro i Paesi Bassi (nazione di primaria civiltà, organizzazione, onestà e progresso sociale) è stata una campagna politico-mediatica orchestrata rozzamente, ma che, su un popolo come il nostro disabituato completamente al senso della responsabilità e da sempre (fin dai tempi di Crispi) a caccia di un colpevole esterno, ha funzionato benino, e ci siamo tutti stretti contro questo nuovo nemico che ci voleva affamare, indignatissimi che non ci volesse pagare aperitivi e bonus vacanza.
Ma torniamo ad uno dei quesiti che danno il titolo a questo paragrafo: da chi sono governanti, i paesi che si sono opposti per settimane alle richieste, e alle pretese, di Italia, Spagna e Portogallo, quali partiti ed ideologie si trovano nei loro esecutivi, e cosa hanno essi in comunque, quali elementi simili o sovrapponibili li caratterizzano al punto da aver creato un unico schieramento, un fronte, un patto, un’Asse?
La risposta -forse sorprendete- è: nessuno.
Non c’è un fattore che accomuni e sintetizzi politicamente quelle nazioni, quei governi. Essi sono composti da partiti, liste, forze che hanno collocazioni le più varie, dalla estrema sinistra alla estrema destra, dal più spicciolo nazionalismo sovranista al più puro europeismo di integrazione. Alcuni governi e partiti sono di stretta osservanza rigorista, monetarista, liberista, capitalista, altri sono esplicitamente assistenzialisti, statalisti, populisti. I tanti “no” all’Italia sono giunti da capi di governo e ministri di formazione socialista, di formazione liberale, di formazione social-cristiana, popolare o conservatrice.
Tra i primi ministri a noi ostili ci sono laureati ed esperti di tutti i rami del sapere occidentale, che hanno svolto le più svariate professioni. Alcuni di loro sono cinquantenni di larga esperienza e di lungo corso politico, che hanno visto e vissuto in prima persona il passaggio dalle Comunità Europee alla più coesa Unione Europa; altri sono quarantenni cresciuti nei ruggenti anni ’80, ma un consistente numero di essi è giovane, giovanissimo, facente parte della cosiddetta generazione Erasmus. Ci sono anche due donne, entrambe di sinistra, nel novero, e non sono state certo le più tenere ed accondiscendenti.
Questo ampio, ampissimo ventaglio di collocazioni, pensieri, personalità, formazione, idee e programmi che i governi dei frugali rappresentano dimostra, nella sua articolata varietà, che non esiste affatto, come finora fattoci credere, un’Europa populista contrapposta dal punto di vista della organizzazione della UE, ad un’Europa del rassicurante establishment moderato; non esiste un’Europa progressista e fraternizzante contrapposta a quella sovranista egoista e particolarista; non esiste un’Europa responsabile e paciosamente social-democristiana contrapposta a quella movimentista e irresponsabile. Le carte del mazzo si sono confuse tra loro, con Ungheria e Polonia giunte in soccorso (soccorso tardivo, ma molto ben accetto) dei PIGS, solo per far dispetto alla condizione olandese di elargire fondi a condizione che i beneficiari rispettassero il livello standard europeo dello Stato di Diritto democratico, e con i fruitori più assidui dei fondi strutturali (i baltici) schierati a fianco dei contributori netti da sempre (i nordici).
E dimostra anche un’altra cosa, purtroppo: che, come temevamo fin dalle passate elezioni europee e dalla formazione della nuova Commissione, il processo di coesione ed integrazione europea ha subito un altro stop, forse ha fatto un passo indietro, essendosi i gruppi parlamentari ed i partiti europei frantumatisi nella loro parcellizzazione nazionale, invece che fronteggiarsi come schieramenti unitati continentali. All’interno dei Popolari, dei Socialisti e Democratici, dei Verdi, dei Liberali, dei Conservatori e delle Destre, nulla è valso essere compagni di partito e di gruppo, è contato, conta, e ancor meno conterà quando ci saranno da discutere e valutare gli usi puntuali del Recovery Fund, ma peserà la appartenenza nazionale. Non social comunisti progressisti ecologisti contro liberisti conservatori sciovinisti, ma lituani contro spagnoli, greci contro irlandesi, e, ovviamente, rumorosamente, italiani contro olandesi.
L’unica linea di divisione che oggi attraversa l’Europa è quella relativa, più che a schieramenti politici ed ideologici, a un idem sentire, ad una filosofia, anzi, ad un concetto, quello della responsabilità. Responsabilità verso sé stessi, verso gli altri, verso le generazioni future (che pagheranno tutto quello che oggi ci pare solo fumo finaziario, come il deficit, il disavanzo, il fondo perduto…), ma sopratutto responsabili dei propri atti, delle proprie scelte, dei proprii errori. Dall’altro lato, gli irresponsabili. La storia degli ultimi 50 anni dovrebbe farci intuire, DC PCI PD FI Lega o M5S che sia al governo, dove siamo stati, dove siamo, e dove vogliamo caparbiamente rimanere, da quale lato della frontiera della responsabilità vogliamo stare. La narrazione sulle identità e diversità europee deve necessariamente cambiare, ed in parte lo ha già fatto, tanto che, qua e là anche sui media italiani solitamente severissimi con “gli alleati di Salvini” si son lette simpatie persino per Orban, mentre il Rutte che ci salvò dal populista Wielders è diventato il demone del giugno – luglio 2020.
NB: importante notare, anche se… off topics, che tutti i governi esaminati sono governi di coalizione. È non solo normale, ma diremmo scontato, in democrazia, al contrario del folle metamaggioritarismo all’italiana, predicatoci dal 1991 ad oggi come “soluzione di tutti mali” e auspicante il potere di un partito unico. Il che, se lo rileggete bene, suona sinistro assai, oltre che costituzionalmente stupido.
Chi paga?
I nuovi provvedimento, meccanismi e strumenti messi in atto dalla UE sono di portata eccezionale e di grande costo economico. Da qualche parte, quei soldi che tutti in Italia hanno invocato, arrivano. Quanti, in che misura, in quale ripartizione è complesso e difficile da dire e spiegare: dedicheremo a questo un articolo più tecnico, ma non prima che tutto sia definito ufficialmente, dato che ancora ci sono alcune norme tecniche da mettere a punto. Ma la UE è comunque, in tempi normali, sostenuta finanziariamente dai propri membri in un sistema di dare e avere che, più o meno, funziona così:
Una parte dei proventi sono relativi ai dazi e alle tasse doganali. Tutto ciò che entra in Europa, in qualunque punto doganale europeo, deve pagare un dazio, una tassa di importazione. Tale tassa va a finire nelle casse comuni, tranne un 20% della stessa che viene trattenuto, a titolo di copertura spese, dal paese che ha effettuato la riscossione. Ciò significa che tutti ci avvantiaggiamo dei commerci di tutti. L’enorme traffico merci e la gigantesca movimentazione di mezzi che avviene nei porti di Anversa, Rotterdam e Amburgo, che da soli rappresentano quasi la metà di tutti i volumi dei principali scali europei, assicura un flusso di denaro consistente a beneficio di tutti i cittadini comunitari, italiani compresi (nota: il primo porto italiano per quantità di merci transitate è al 10° posto della classifica, ed è quello di Gioia Tauro). Questi proventi, assieme a quelli derivati dall’imposta sugli zuccheri, sono detti RPT (risorse proprie tradizionali)
Un’altra fonte di introiti molto nota, è la TAV, da noi comunemente chiamata IVA, il cui 0,3% circa va appunto all’Europa. Come è facile immaginare, tanto più un paese ha la sua economia di consumi vivace, tanto più contribuisce.
Entrambi i sistemi prevedono dei meccanismi correttivi, che mitigano gli eccessi e le disparità. In particolare, chi versa percentuali elevatissime di dazi riscossi, si vedrà applicare sconti in altri settori, mentre riguardo l’IVA, i paesi più poveri sono esentati dal versare fino al 50% della quota loro prevista. Ogni bilancio tali quote e correzioni vengono riviste. In questo esercizio finanziario, il calcolo sarà molto complesso, e dalle conseguenze sensibili, a seguito della Brexit.
C’è poi il grande capitolo dei contributi dei singoli Paesi. Ogni membro dell’UE è tenuto a partecipare alle spese della Unione, sia d’apparato, come quelle per il Parlamento, la Commissione e tutte le altre istituzioni, che hanno i loro costi, sia per creare quel bilancio comune che poi viene redistribuito sotto forma di fondi strutturali, contributi alla agricoltura, finanziamenti di settori economici, territori o attività specifiche, e progetti vari, oltre che per le varie emergenze. Per stabilire quanto ogni Paese debba versare, si calcola una quota sul Reddito Nazionale Lordo. Tale RNL viene comparato, con un complesso procedimento, alla media europea, e da tale comparazione consegue una quota. L’insieme delle quote nazionali costituisce il 75% di tutto il bilancio europeo.
Nello specifico di questo articolo, abbiamo indicato, nella scheda,, interessandoci ai Paesi frugali, quali e quanti siano sia i loro contributi alla UE, sia quanto poi beneficino degli “aiuti”, tanto in assoluto quanto in relazione al loro PIL.
Ecco, come si capisce immediatamente, le quote più altre del Recovery Fund ricadranno su quelle nazioni che già oggi, già in precedenza, hanno versato di più in favore degli altri. Questo elemento pratico, quasi brutamente matematico, dovrebbe farci capire almeno un po’ come e perchè i nordici (o chi i fondi europei ha speso con grandissima oculatezza e profitto) non abbiano gioito dovendo ancora una volta aprire il portafoglio in favore di partners come l’Italia che da vent’anni sfora parametri e limiti, non cresce di un punto di PIL e aumenta debito e deficit con una caparbia costanza qualunque sia il governo che la regge.
SCHEDA: COMPOSIZIONE DEI GOVERNI E POSIZIONE FINANZIARIA DI ALCUNI PAESI DELLA UE, DETTI “FRUGALI”
Austria
Capo del governo:
Sebastian Kunz. Il Cancelliere, nato nel 1986, è leader del Partito Popolare Austriaco, formazione democristiana di centro destra.
Coalizione di governo:
Partito Popolare Austriaco (collocazione nel parlamento europeo: (PPE)
I Verdi (collocazione nel parlamento europeo: (Verdi/ALE)
Contribuzione alla UE
Spesa totale dell’UE in Austria 1,953 miliardi di euro
(pari allo 0,51% dell’economia austriaca)
- Contributo complessivo al bilancio dell’UE 3,277 miliardi di euro
(pari allo 0,85% dell’economia austriaca)
Danimarca
Capo del governo:
Mette Frederiksen. La Ministra di Stato del Regno, nata nel 1977, è la leader del Partito Socialdemocratico Danese, formazione di sinistra socialdemocratica
Coalizione di governo:
Partito Socialdemocratico (collocazione nel parlamento europeo: (S&D)
Sinistra Radicale (collocazione nel parlamento europeo: ALDE)
Partito Popolare Socialista (collocazione nel parlamento europeo: ( SNV)
Lista Unità Rosso-Verde (collocazione nel parlamento europeo: SE)
Comunità Inuit (indipendentisti di sinistra groenlandesi, non rappresentati nel parl. europeo)
Contribuzione alla UE
Spesa totale dell’UE in Danimarca 1,411 miliardi di euro
(pari allo 0,46% dell’economia danese)
- Contributo complessivo al bilancio dell’UE 2,541 miliardi di euro
(pari allo 0,83% dell’economia danese)
Estonia
Capo del governo:
Jüri Ratas. Il Primo Ministro, nato nel 1978, è anche il leader del Partito di Centro Estone, formazione social-liberale
Coalizione di governo:
Partito di Centro Estone (collocazione nel parlamento europeo: (ALDE)
Partito Socialdemocratico (collocazione nel parlamento europeo: ( P&D)
Lista Patria (collocazione nel parlamento europeo: PPE)
Contribuzione alla UE
Spesa totale dell’UE in Estonia 0,759 miliardi di euro
(pari al 3,03% dell’economia estone)
- Contributo complessivo al bilancio dell’UE 0,210 miliardi di euro
(pari allo 0,84% dell’economia estone)
Finlandia
Capo del governo:
Sanna Marin. La Ministro Capo della Repubblica, nata nel 1985, è dirigente del Partito Socialdemocratico Finlandese, formazione di sinistra.
Coalizione di governo:
Partito Socialdemocratico (collocazione nel parlamento europeo: ( S&D)
Partito di Centro (collocazione nel parlamento europeo: ALDE)
Lega Verde (collocazione nel parlamento europeo: (Verdi/ALE)
Partito Popolare Svedese di Finlandia (collocazione nel parlamento europeo: ALDE)
Alleanza di Sinistra (collocazione nel parlamento europeo: (SVN)
Contribuzione alla UE
Spesa totale dell’UE in Finlandia 1,478 miliardi di euro
(pari allo 0,63% dell’economia finlandese)
- Contributo complessivo al bilancio dell’UE 2,018 miliardi di euro
(pari allo 0,87% dell’economia finlandese)
Irlanda
Capo del governo:
Michaél Martin. Il Taoiseach (Capo) è nato nel 1960, è anche il leader del Fianna Fail, formazione liberal-conservatrice.
Coalizione di governo:
Fianna Fail- Repubblicani (collocazione nel parlamento europeo: ALDE)
Partito Verde (collocazione nel parlamento europeo: Verdi/ALE)
Famiglia degli Irlandesi (collocazione nel parlamento europeo: PPE)
Contribuzione alla UE
Spesa totale dell’UE in Irlanda 2,064 miliardi di euro
(pari allo 0,82% dell’economia irlandese)
- Contributo complessivo al bilancio dell’UE 2,320 miliardi di euro
(pari allo 0,92% dell’economia irlandese)
Lettonia
Capo del governo:
Arturs Krišjānis Kariņš. Il Ministro Presidente della Repubblica, nato nel 1964, è un dirigente del partito Unità, formazione di centro-destra
Coalizione di governo:
Unità (collocazione nel parlamento europeo: ( PPE)
Alleanza Nazionale (collocazione nel parlamento europeo: ECRG)
Nuovo Partito Conservatore (destra europeista, non rappresentato al parl. Europeo)
A Chi Appartiene lo Stato? (destra populista, non rappresentato al parl. Europeo)
Sviluppo!Per! (collocazione nel parlamento europeo: ALDE)
Contribuzione alla UE
Spesa totale dell’UE in Lettonia 1,212 miliardi di euro
(pari al 4,14% dell’economia lettone)
- Contributo complessivo al bilancio dell’UE 0,234 miliardi di euro
(pari allo 0,80% dell’economia lettone)
Lituania
Capo del governo:
Saulius Skvernelis. Il Ministro Presidente della Repubblica, nato nel 1970, è formalmente un indipendente, anche se sponsorizzato dalla Unione dei Verdi e dei Contadini, formazione di centro-destra.
Coalizione di governo:
Unione dei Verdi e dei Contadini (collocazione nel parlamento europeo: (Verdi/ALE)
Partito Socialdemocratico Laburista (moderati di sinistra, non rappresentati nel parl. europeo)
Azione Elettorale dei Polacchi in Lituania (collocazione nel parlamento europeo: ECRG)
Contribuzione alla UE
Spesa totale dell’UE in Lituania 2,071 miliardi di euro
(pari al 4,80% dell’economia lituana)
- Contributo complessivo al bilancio dell’UE 0,356 miliardi di euro
(pari allo 0,83% dell’economia lituana)
Paesi Bassi
Capo del governo:
Mark Rutte. Il Ministro Presidente e degli Affari Generali, nato nel 1967, è il leader del Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, formazione liberal-conservatrice
Coalizione di governo:
Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (collocazione nel parlamento europeo: ALDE)
Appello Cristiano Democratico (collocazione nel parlamento europeo: PPE)
Democratici 66 (collocazione nel parlamento europeo: ALDE)
Unione Cristiana (collocazione nel parlamento europeo: ECRG)
Contribuzione alla UE
Spesa totale dell’UE nei Paesi Bassi 2,470 miliardi di euro
(pari allo 0,32% dell’economia olandese)
- Contributo complessivo al bilancio dell’UE 4,845 miliardi di euro
(pari allo 0,62% dell’economia olandese)
Svezia
Capo del governo:
Kjell Stefan Löfven. Il Ministro di Stato è nato nel 1957, ed è leader del Partito Socialdemocratico dei Lavoratori, formazione di sinistra democratica.
Coalizione di governo:
Partito Socialdemocratico dei Lavoratori (collocazione nel parlamento europeo: S&D)
Verdi (collocazione nel parlamento europeo: (SVN)
Contribuzione alla UE
Spesa totale dell’UE in Svezia 1,814 miliardi di euro
(pari allo 0,38% dell’economia svedese)
- Contributo complessivo al bilancio dell’UE 3,303 miliardi di euro
(pari allo 0,70% dell’economia svedese
per una comparazione: Italia
Capo del Governo: Giuseppe Conte. Professore di Diritto, nato nel 1965, il Presidente del Consiglio è un indipendente, portato alla politica però dal Movimento 5 Stelle, formazione di stampo populista
Coalizione di Governo
Partito Democratico (collocazione nel parlamento europeo: (S&D)
Movimento 5 Stelle (gli eletti nel parlamento europeo non hanno trovato collocazione in alcun gruppo)
Italia Viva (collocazione nel parlamento europeo: Renew Europe)
Liberi e Uguali (collocazione nel parlamento europeo: SE)
esponenti del Gruppo Misto
Contribuzione alla UE
Spesa totale dell’UE in Italia – 10,337 miliardi di euro
(pari allo 0,58% dell’economia italiana)
- Contributo complessivo al bilancio dell’UE – 15,215 miliardi di euro
(pari allo 0,89% dell’economia italiana)