di Redazione
Il leader dell’opposizione russa Alexei Navalny sta scontando una condanna a nove anni in una colonia penale di massima sicurezza. Questo suo editoriale è stato trasmesso al Washington Post dal suo team legale ed è consultabile nella versione ordinale all’indirizzo https://www.washingtonpost.com/opinions/2022/09/30/alexei-navalny-parliamentary-republic-russia-ukraine/
La nostra traduzione:
Quale fine sarebbe realisticamente auspicabile per la guerra criminale scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina?
Se esaminiamo i principali discorsi dei leader occidentali, l’orientamento fondamentale è: la Russia (Putin) non deve vincere questa guerra. L’Ucraina deve rimanere uno Stato democratico indipendente capace di difendersi.
Questo è corretto, ma è una tattica. La strategia dovrebbe essere quella di assicurarsi che la Russia e il suo governo, naturalmente, senza coercizione, non vogliano iniziare nuove guerre e non le trovino allettanti. Questo è senza dubbio possibile. In questo momento l’impulso all’aggressione proviene da una minoranza nella società russa.
A mio parere, il problema delle attuali tattiche occidentali non sta solo nella vaghezza del loro obiettivo, ma nel fatto che ignorano la domanda: che aspetto avrebbe la Russia se tali obiettivi tattici fossero raggiunti? Anche in caso di successo, dov’è la garanzia che il mondo non si troverebbe a confrontarsi con un regime ancora più aggressivo, tormentato da risentimento e da idee imperiali che poco avrebbero a che fare con la realtà? Con un’economia sanzionata, ma ancora grande, in uno stato di mobilitazione militare permanente? E con armi nucleari che garantiscono l’impunità per qualsivoglia provocazione e avventura internazionale?
È facile prevedere che, anche nel caso di una dolorosa sconfitta militare, Putin dichiarerebbe comunque di aver perso non contro l’Ucraina ma contro “l’Occidente e la NATO”, che hanno aggredito la Russia, per distruggerla.
E poi, ricorrendo al suo solito repertorio postmoderno di simboli nazionali – dalle icone religiose alle bandiere rosse, da Dostoevskij al balletto – prometterà di creare un esercito così forte, e armi di una potenza senza precedenti, che l’Occidente rimpiangerà il giorno in cui ci ha sfidato, e che l’onore dei nostri grandi antenati sarà vendicato.
E poi vedremo un nuovo ciclo di guerre ibride e di provocazioni, il cui inasprimento progressivo sfocerà in nuove guerre.
Per evitare ciò, la questione della Russia del dopoguerra dovrebbe diventare centrale tra coloro che lottano per la pace, e non uno dei tanti argomenti di discussione. Nessun obiettivo a lungo termine può essere raggiunto senza un piano che garantisca che la fonte dei problemi smetta di crearli. La Russia deve cessare di essere un fomentatore di aggressione e instabilità. Questo risultato è possibile, e dovrebbe essere visto come una vittoria strategica in questa guerra.
In Russia stanno accadendo eventi importanti, che devono essere compresi: in primo luogo, l’invidia nei confronti dell’Ucraina e dei suoi possibili successi, che è una caratteristica innata del potere post-sovietico in Russia sin dal primo presidente russo, Boris Eltsin. Ma dall’avvento al potere di Putin, e soprattutto dopo la Rivoluzione arancione, iniziata nel 2004, l’odio per la scelta europea dell’Ucraina, e il desiderio di trasformarla in uno Stato fallito, sono diventati una vera e propria ossessione, non solo per Putin ma anche per tutti i politici della sua generazione.
Il controllo sull’Ucraina è l’articolo di fede più importante per tutti i russi con visioni imperiali, dai funzionari alla gente comune. Secondo loro, la Russia insieme ad un’Ucraina ad essa subordinata, equivarrebbe alla “rinascita dell’URSS e dell’impero”. Senza l’Ucraina, da questo punto di vista, la Russia è solo un paese senza possibilità di dominio del mondo. Tutto ciò che l’Ucraina acquisisce è qualcosa sottratto alla Russia.
In secondo luogo, la visione della guerra, non come una catastrofe, ma come un mezzo formidabile per risolvere tutti i problemi, non è solo una filosofia dei piani alti della cerchia di Putin, ma una pratica confermata dalla vita e dall’evoluzione. Sin dalla seconda guerra cecena, che ha reso il semi-sconosciuto Putin il politico più popolare del Paese, dalla guerra in Georgia, dall’annessione della Crimea, dalla guerra nel Donbas e in Siria, l’élite russa negli ultimi 23 anni ha imparato regole che non si sono mai dimostrate sbagliate: la guerra non è così costosa, risolve tutti i problemi di politica interna, porta alle stelle il consenso, lo fa senza danneggiare particolarmente l’economia e, cosa più importante, i vincitori non devono rendere conto ad alcuno. Prima o poi, uno dei leader occidentali in costante avvicendamento, verrà da noi per negoziare; non importa quali motivazioni lo spingeranno – la volontà degli elettori o il desiderio di ricevere il Premio Nobel per la Pace – ma se dimostri la giusta persistenza e determinazione, l’Occidente verrà, chiedendo di fare la pace.
Non dimenticate che negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in altri Paesi occidentali ci sono molti politici che sono stati sconfitti e hanno perso terreno a causa del loro sostegno a questa o quella guerra. In Russia, semplicemente, una cosa del genere non esiste. Qui la guerra è sempre una questione di profitto e di successo.
In terzo luogo, quindi, la speranza che la sostituzione di Putin con un altro membro della sua cerchia cambi radicalmente questa visione della guerra, e in particolare della guerra per “l’eredità dell’URSS”, è quantomeno ingenua. Tali dirigenti sanno semplicemente per esperienza che la guerra funziona, meglio di qualsiasi altra cosa.
L’esempio migliore è forse quello di Dmitry Medvedev, l’ex presidente su cui l’Occidente riponeva così tante speranze. Oggi questo comico Medvedev, che una volta è stato portato in visita nella sede centrale di Twitter, fa dichiarazioni così aggressive da sembrare una caricatura di quelle di Putin.
In quarto luogo, la buona notizia è che l’ossessione sanguinaria per l’Ucraina non è affatto diffusa al di fuori delle élite di potere, nonostante qualunque bugia possa essere raccontata dai sociologi filo-governativi.
La guerra aumenta il consenso nei confronti di Putin mobilitando la parte della società dalla mentalità imperialista. L’informazione è completamente assorbita dalla guerra; i problemi interni passano in secondo piano: “Evviva, siamo tornati in gioco, siamo grandi, stanno facendo i conti con noi!” Eppure gli aggressivi imperialisti non hanno il dominio assoluto. Non costituiscono una solida maggioranza di elettori ed hanno ancora bisogno di una fornitura costante di propaganda a sostegno delle loro convinzioni.
Se così non fosse Putin non avrebbe avuto bisogno di chiamare la guerra una “operazione speciale” e di spedire in carcere chi usa la parola “guerra”. (Non molto tempo fa, per questo, un membro di un consiglio distrettuale di Mosca è stato condannato a sette anni di prigione) Non avrebbe avuto paura ad inviare coscritti in guerra e non sarebbe stato costretto a cercare soldati nelle carceri di massima sicurezza, come sta facendo ora. (Diverse persone sono state “arruolate per il fronte” direttamente dalla colonia penale in cui mi trovo).
Sì, la propaganda e il lavaggio del cervello hanno un certo effetto. Tuttavia, possiamo affermare con certezza che la maggioranza degli abitanti di grandi città come Mosca e San Pietroburgo, così come i giovani elettori, sono critici nei confronti della guerra e dell’isteria imperiale. L’orrore per le sofferenze degli ucraini e la brutale uccisione di innocenti riecheggia nell’anima di questi elettori.
Pertanto, possiamo affermare quanto segue: la guerra con l’Ucraina, ovviamente, è stata iniziata e condotta da Putin, desideroso di risolvere i suoi problemi di politica interna. Ma il vero partito della guerra è l’intera élite e lo stesso sistema di potere, un autoritarismo russo di tipo imperiale che si auto-perpetua all’infinito. L’aggressione esterna in qualsiasi forma, dalla retorica diplomatica alla guerra vera e propria, è il suo modus operandi e l’Ucraina è il suo obiettivo preferito. Questo autoritarismo imperiale auto-rigenerante è la vera maledizione della Russia e la causa di tutti i suoi guai. Non possiamo liberarcene, nonostante le opportunità regolarmente fornite dalla storia.
La Russia ha avuto la sua ultima possibilità di questo tipo dopo la fine dell’URSS, ma sia l’opinione pubblica democratica all’interno del paese che i leader occidentali dell’epoca hanno commesso il mostruoso errore di accettare il modello – proposto dalla squadra di Boris Eltsin – di una repubblica presidenziale con enormi poteri riservati al capo dello stato. Dare molto potere a un “bravo ragazzo” sembrava logico in quel momento.
Ma avvenne presto l’inevitabile: il bravo ragazzo è diventato cattivo. Per cominciare, ha iniziato lui stesso una guerra (la guerra cecena) e poi, senza elezioni normali e procedure corrette, ha ceduto il potere ai cinici e corrotti imperialisti sovietici guidati da Putin. Essi hanno causato diverse guerre e innumerevoli provocazioni internazionali e ora tormentano una nazione vicina, commettendo crimini orribili per i quali né le prossime generazioni di ucraini né i nostri stessi figli ci perdoneranno.
Nei 31 anni trascorsi dal crollo dell’URSS, abbiamo assistito a uno schema chiaro: i paesi che hanno scelto il modello della repubblica parlamentare (gli stati baltici) sono floridi e si sono uniti con successo all’Europa. Quelli che hanno scelto il modello presidenziale-parlamentare (Ucraina, Moldova, Georgia) hanno dovuto affrontare un’instabilità persistente e hanno compiuto pochi progressi. Quelli che hanno scelto un potere presidenziale forte (Russia, Bielorussia e le repubbliche dell’Asia centrale) hanno ceduto al rigido autoritarismo e la maggior parte di loro è costantemente impegnata in conflitti militari con i loro vicini, sognando ad occhi aperti i propri piccoli imperi.
In breve, vittoria strategica significherebbe riportare la Russia su questo punto chiave della sua congiuntura storica e permettere al popolo russo di fare la scelta giusta.
Il modello futuro per la Russia non è il “potere forte” e il “mano ferma”, ma armonia, concordia e considerazione degli interessi dell’intera società. La Russia ha bisogno di una repubblica parlamentare; questo è l’unico modo per fermare il ciclo infinito dell’autoritarismo imperiale.
Si potrebbe obiettare che una repubblica parlamentare non sia una panacea. Chi, dopo tutto, può impedire a Putin, o al suo successore, di vincere le elezioni e di ottenere il pieno controllo del parlamento?
Certo, anche una repubblica parlamentare non offre garanzie al 100 per cento. Si potrebbe sostenere che stiamo assistendo alla transizione verso l’autoritarismo dell’India parlamentare; che dopo l’usurpazione del potere, la Turchia parlamentare si è trasformata in una Turchia presidenziale; che il fulcro del fan club europeo di Putin è paradossalmente nella parlamentare Ungheria.
E che la nozione stessa di “repubblica parlamentare” sia troppo ampia.
Eppure credo che questa cura ci offra vantaggi decisivi: una riduzione radicale del potere nelle mani di un solo individuo, la formazione di un governo a maggioranza parlamentare, un sistema giudiziario indipendente, un significativo aumento dei poteri degli enti locali. Tali istituzioni non sono mai esistite in Russia e ne abbiamo un disperato bisogno.
Per quanto riguarda il possibile controllo totale del parlamento da parte del partito di Putin, la risposta è semplice: una volta che la vera opposizione potrà votare, tale controllo sarà impossibile. La grande vittoria di un partito? Sì. Di una maggioranza di coalizione? Forse. Il controllo totale? Sicuramente no. Oggi un gran numero di persone in Russia, e ogni giorno di più, sono interessate alla vita quotidiana, e non al fantasma delle conquiste territoriali. Persone che, però, semplicemente, non hanno nessuno per cui votare, ora.
Certo, cambiare il regime di Putin, e scegliere la via del progresso, non sono responsabilità dell’Occidente, ma un compito dei cittadini russi. Tuttavia, l’Occidente, che ha imposto sanzioni sia alla Russia come Stato che ad alcuni appartenenti della sua élite politica, dovrebbe rendere il più possibile chiara la sua visione strategica della Russia come democrazia parlamentare. Non dovremmo affatto ripetere l’errore dell’approccio cinico tenuto dall’Occidente negli anni ’90, quando all’élite post-sovietica di fatto fu detto: “Fate quello che volete in casa vostra; ma controllate le armi nucleari e riforniteci di petrolio e gas”. Invece, anche oggi voci ciniche dicono cose simili: “Lasciate che ritirino le truppe e facciano laggiù quello che vogliono. La guerra è finita, la missione dell’Occidente è compiuta”. Ma questa missione era già stata “compiuta” con l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014, e il risultato è una guerra reale in Europa nel 2022.
Un approccio semplice, onesto ed equo dovrebbe essere: il popolo russo è ovviamente libero di scegliere il proprio percorso di sviluppo. Ma i paesi occidentali sono liberi di scegliere la tipologia delle loro relazioni con la Russia, di revocare o meno le sanzioni e di definire i criteri per tali decisioni. Il popolo russo e l’élite russa non hanno bisogno di essere forzati. Hanno bisogno di un segnale chiaro e di una spiegazione del perché una tale scelta sia migliore. Fondamentalmente, la democrazia parlamentare sarebbe una scelta razionale e auspicabile anche per molte delle fazioni politiche attorno a Putin perché darebbe loro l’opportunità di mantenere l’influenza e combattere per il potere, assicurandosi di non essere distrutti da un gruppo più aggressivo.
La guerra è un incessante flusso di decisioni cruciali e urgenti, influenzate da fattori in costante mutamento. Pertanto, mentre elogio i leader europei per il loro continuo successo nel sostenere l’Ucraina, li esorto a non perdere di vista le cause fondamentali della guerra. La minaccia alla pace e alla stabilità in Europa è costituita dall’aggressivo autoritarismo imperiale, continuamente inflitto dalla Russia a sé stessa; altrimenti la Russia del dopoguerra, come quella del dopo-Putin, sarà destinata a diventare nuovamente bellicosa e putiniana. Questo è inevitabile finché sarà mantenuta l’attuale forma di funzionamento del Paese. Solo una repubblica parlamentare potrà impedirlo. Questo è il primo passo per trasformare la Russia in un buon vicino, che aiuti a risolvere i problemi, piuttosto che crearli.