STORIA DEI GIUBILEI, parte 4: i primi giubilei cinquecenteschi, l’era de I Medici e della Riforma

incisione rappresentante i soldati mercenari cosiddetti Lanzichenecchi

Anche se, a rigor di calendario, il 1500 introduceva il nuovo secolo, esso, storicamente, era iniziato quasi un decennio prima; anzi, erano state la morte di Lorenzo il Magnifico (e, con lui, dell’età comunale), l’avanzata dei turchi nei Balcani, e la fatidica scoperta delle Americhe che avevano generato tempi nuovi e un Mondo Nuovo completamente diverso da quello conosciuto fino ad allora.

La neonata nazione spagnola, regno unitario di Castiglia e Aragona, dilagava veementemente con le sue armi e la sua potenza sulle due sponde dell’Atlantico, ridisegnando e stravolgendo lo stesso corso della Storia. E la Storia, oltre ad una enorme quantità di denari spesi a tal uopo, decretò che il nuovo Papa dovesse essere, ineluttabilmente, spagnolo: Roderic Llançol de Borja.

Fu dunque Papa Borgia, Alessandro VI, a indire il Giubileo del secondo centenario, ed aggiungere così splendore al suo già sfarzoso regnare.

L’ottavo Giubileo, 1500: organizzazione, scenografia, riti solenni.

Un pontefice come il Borgia, con la sua corte affollata di figli, nipoti e parenti vari, tutti scaltri, ambiziosi e avidi, non poteva trascurare la grande occasione che questo solenne Anno Santo presentava: dimenticata la paura della fine del mondo (che nel passato si era scatenata ad ogni scadenza secolare), fedeli e pellegrini sarebbero certamente accorsi, e più per partecipare ad un grande evento spiritual-mondano che per chiedere il rinvio dell’Apocalisse; l’evento quindi doveva essere accuratamente preparato. Nei due anni che lo precedettero, Roma fu un gigantesco cantiere (situazione destinata a ripetersi!): dappertutto restauri di chiese e monasteri, ospedali e palazzi pubblici; ricostruzione di ponti pericolanti o vetusti; risanamento e ampliamento di Trastevere; abbattimento ed eliminazione di edifici malmessi; l’apertura delle strade del Borgo, dritte e dalle studiate prospettive, tra San Pietro e Castel Sant’Angelo; gli affreschi della recentissima Cappella Sistina… niente è lasciato al caso, tutto pianificato per attrarre pellegrini, viaggiatori, o curiosi di ogni risma, purché danarosi.1

Con arguzia e senso dello spettacolo, Alessandro VI stabilì, fissandola per il futuro, tutta una serie di ritualità, liturgie e celebrazioni giubilari che sono giunte, con poche varianti, fino ai nostri giorni. La più importante è senza dubbio la cerimonia della Apertura della Porta Santa, cioè l’arrivo della solenne processione papale presso tale porta della Basilica di San Pietro e l’abbattimento, con apposita piccozzetta, del muro che la occlude, simbolico abbattimento degli impedimenti tra Peccato e Perdono, Perdizione e Salvezza, Regno Terreno e Regno dei Cieli.

Ma visto che il Regno dei Cieli può attendere, ed eventualmente ci si arriva indultati, confessati ed assolti, tanto vale godersela il più possibile in quello Terreno. Quello del 1500 viene ricordato come uno dei più mondani anni santi della Storia. In puro stile Borgia, vennero organizzati spettacoli, feste, giostre, corride e banchetti, sia per celebrare degnamente la gloria nei Cieli di Cristo, il figlio di Dio, sia per festeggiare sfrenatamente le vittorie in Romagna di Cesare Borgia, il figlio del Papa. Lascivi banchetti e orge affollate, presente e attivamente partecipante Alessandro VI col suo codazzo di cortigiani e familiari , si tennero senza vergogna in tutta Roma e dintorni.

Attratti in parte dalle indulgenze, in parte da pii intenti ed in parte da questo grande circo godereccio, furono tantissimi i pellegrini in visita. Ovviamente molto numerosi gli spagnoli, ma anche boemi, tedeschi, polacchi2. La buona organizzazione ed un po’ di fortuna evitarono le solite pestilenze, le solite stragi tra la calca e la solita carestia; anzi, le abbondati scorte alimentari e di materiale, una politica di contenimento dei prezzi, un vigile controllo di polizia, assicurarono relativa tranquillità ai tantissimi convenuti.  Un ottimo esito per la famiglia Borgia ma ben poco duraturo: alla morte del Papa, appena tre anni dopo, la loro fortuna ed il loro potere svanirono completamente.

Franza o Spagna…

purché se magna. L’espressione (attribuita al Guicciadini) riassume grossolanamente il cinico opportunismo, il calcolo furbesco ed insieme la pochezza degli Stati e dei principi (e anche dei popoli) italiani che, interessati soprattutto ad impedire che uno di loro potesse mai prevalere, si esibirono in una serie continua di cambi di fronte e di rimescolamenti di alleanze, schierandosi l’una volta con i francesi e l’altra con gli spagnoli. Per tutto il secolo XVI le due grandi potenze si contendettero quella terra colma di infinite ricchezze e risorse che era l’Italia. Invidiosi ed intolleranti l’uno verso l’altro, gli staterelli peninsulari divennero facile preda degli stranieri.

Campione dei voltafaccia più spregiudicati e clamorosi fu il Papato, che non solo fu il principale inibitore di ogni possibile progetto di unità italiana, ma, chiamando continuamente re ed eserciti stranieri ad intervenire nella Penisola, determinò sofferenze e perdite incalcolabili ai suoi abitanti.

L’era dei Medici

Complici e allo stesso tempo vittime dell’ imprudente ed ondivago gioco di alleanze furono anche i Medici, la casata più ricca d’Europa. Morto Lorenzo il Magnifico, il di lui figlio Piero si dimostrò inadatto ed incapace di mantenere gli equilibri politico-militari tanto a livello internazionale quanto nel suo piccolo ma potente Stato: quando Carlo VIII di Francia si presentò alle porte di Firenze nella sua impresa di conquista del Regno di Napoli, i fiorentini giudicarono l’agire di Ser Piero sfrontato e offensivo ma anche debolissimo e umiliante3, e, armi alle mani, lo cacciarono con tutta la sua articolata parentela di banchieri, capitani di ventura, podestà e di prelati d’alto rango.

Mentre la Repubblica Fiorentina (che passò anche dal fanatismo del Savonarola) tentava di stabilizzarsi, i Medici  si mettevano all’opera per tornare quanto prima al potere. Lo stesso Piero, con la sua compagnia, si mise al servizio, di Carlo VIII, ma le truppe francesi furono disfatte dagli spagnoli in Campania, e l’ex signore di Firenze morì annegato nella precipitosa ritirata alla foce del Garigliano (1503). A quel punto il nuovo capofamiglia diventò l’altro figlio di Lorenzo, il cardinale Giovanni de’ Medici. Egli si mise a completa disposizione del nuovo Papa, il bellicosissimo Giulio II, seguendone senza alcuno scrupolo i continui cambiamenti di fronte. Ottenuto l’incarico di Legato (Governatore) della Romagna, Giovanni portò le truppe pontificie, nell’ambito della Lega Santa antifrancese, al fianco di quelle spagnole. Partecipò alla tragica Battaglia di Ravenna4 dove fu pure fatto prigioniero. Rocambolescamente riuscì a fuggire, e, dopo varie peripezie, tornato a Roma, convinse Giulio II che fosse necessario abbattere la libera Repubblica Fiorentina per privare la Francia del suo più sicuro alleato.

Così, nel 1512, la Toscana fu invasa dalla ricostituita armata ispano-pontificia, comandata dallo spagnolo Ramon de Cardona, che si diresse contro la città di Prato. Consigliere e guida del Cardona, era lo stesso Giovanni de’ Medici, che conosceva a fondo la zona, essendo stata, quella, sua propria sede cardinalizia.5

L’ex pastore di anime non ebbe pietà di quello che era stato il suo gregge: dopo un breve assedio, il 29 agosto le sue truppe entrarono in Prato e la misero a ferro e fuoco, massacrandone difensori ed abitanti e saccheggiandone chiese palazzi e abitazioni6. Firenze, alla notizia della feroce strage, comprese quale destino le sarebbe toccato in caso di resistenza, e dopo drammatiche trattative di resa, la città aprì le porte ai suoi odiati padroni: i Medici tornavano al potere sulle picche spagnole grondanti sangue.

Il cardinal Giovanni prese possesso delle istituzioni fiorentine, e, seppur con una certa moderazione nei numeri, intraprese una spietata epurazione nei confronti dei suoi avversari. Tra gli altri, anche Nicolò Machiavelli venne arrestato, torturato, e condannato al confino (ma in seguito, perdonato e riabilitato). Giovanni de’ Medici pareva esser giunto all’apice della sua ascesa, ma per lui  il destino aveva in programma  ben altri trionfi: morto Giulio II, nel conclave del 1513, il giovane cardinale fiorentino – carico di gloria per le passate imprese, Signore di un potente Stato, ancor più ricco di prima – non ebbe rivali, e fu eletto Papa con nome di Leone X.

Lux  vera in tenebris luces

Quello di Leone fu un papato di grandi, forse esagerate aspirazioni e di delusioni altrettanto grandi: le manovre per l’unificazione dei domini romani e quelli fiorentini con l’idea di costituire un grande Stato penisnular-padano fino a Milano; la prospettiva di porsi come centro del Mondo in una continua mediazione e repentine oscillazioni tra Spagna, Sacro Romano Impero e Francia; il tentativo di contenere, minimizzandole, le tesi dottrinali e le influenze sulle masse di Lutero, per poi cambiare strategia e scomunicare il monaco tedesco (1521); tutti fallimenti clamorosi, costosi e dolorosi per la Chiesa: inutile proclamare la dottrina cattolica – e sé stesso – come la luce vera che risplende nelle tenebre; al termine del suo pontificato, l’Italia era frantumata e devastata da guerre fratricide, tutti i regnanti consideravano la corte di Roma come infida ed inaffidabile, e la Riforma Protestante dilagava.

Immerso nel suo universo personale fatto di altissimi dibattiti culturali, raffinatezze letterarie e artistiche, splendide feste con luculliani banchetti, impegnative disquisizioni teologiche e altrettanto spossanti ma goduriose rincorse dietro a tutti i bei domestici e paggetti dei palazzi vaticani, Leone non fu in grado di reggere il passo con la Storia. Solo in una cosa non fallì e superò le barriere del tempo: nel suo esplicito e pervasivo nepotismo. Anche se non riuscì a creare una vera dinastia papale duratura, ci andò molto vicino, ed assicurò ai suoi parenti e discendenti cariche e ruoli ai massimi livelli.7 In particolare a noi interessa sapere che ruolo riservò a  Giulio Zanobi di Giuliano de’ Medici, suo cugino.

La dinastia salta un turno

Leone X de’ Medici preparò la sua successione con molta cura: investì tutto sul cugino Giulio, col quale era cresciuto come un fratello. Poiché questi era “figlio illegittimo”, il Papa lo legittimò. Poi lo fece arcivescovo (e Signore in vece sua) di Firenze; immediatamente dopo lo insignì della porpora cardinalizia e gli concesse contemporaneamente il titolo di governatore e arcivescovo di Urbino. Per assicurargli poi potere economico, gli assegnò una gran quantità di benefici e titoli ecclesiastici che producevano una rendita notevolissima. Lo incaricò poi di prestigiose missioni diplomatiche per fargli conoscere le corti e le dinamiche europee.

Insomma lo coltivò come futuro Papa nell’ottica già accennata di trasformare il papato e la Toscana in un regno dinastico mediceo. E quasi gli riuscì, non fosse stato per l’incertezza della vita umana e della sua imprevedibilità, il primo elemento della quale è la morte, che colse Leone X nel 1521 a soli 46 anni (morì di bagordi nel festeggiare una delle sue effimere vittorie militari) e ne lasciò così incompiuti i progetti ed i sogni.

L’improvvisa dipartita di Giovanni de Medici lasciò anche la Chiesa senza il becco di un quattrino e senza che famiglie e potentati italiani avessero avuto modo di assicurare una transizione accettabile per tutti.

Cosa fanno, dunque, gli italiani quando vivono simili crisi politico-finanziarie? Scaricano tutto sulle spalle di uno straniero “responsabile”. E così il conclave elesse il rigoroso e poco empatico Adriano VI, al secolo Adriaan Floriszoon , un olandese concreto e risparmiatore che, nel suo regno di poco più di un anno, riuscì in qualche modo a porre freno a spese folli e a sprechi indecenti. Questo significò niente feste, niente circhi né corride, niente elargizioni a pioggia e uno stop alle magnifiche ma dispendiosissime opere d’arte e commissioni a pittori, scultori ed architetti vari.

Popolo e nobiltà, e tutto il sottobosco di committenti, non gliela perdonarono, e, memori del loro errore, fecero passare 465 anni prima che venisse eletto un nuovo pontefice straniero.

La famiglia torna alla… Carica

Il nuovo conclave, per quanto molto teso e senza un preciso equilibrio, optò per la continuità con recente passato, e Giulio de’ Medici, dopo essersi assicurato l’appoggio del potentissimo neo imperatore Carlo V, riuscì ad imporre sé stesso al collegio cardinalizio e a farsi  così nominare Papa con il nome di Clemente VII (19 novembre 1523).

Secondo Medici al soglio di Pietro, Clemente tentò di rinsaldare la sua – e della sua famiglia – posizione, usando molta più moderazione ed evitando gli eccessi del predecessore-cugino. Non gli andò bene, come vedremo.

Seguire i suoi successi, gli insuccessi, i cambi di alleanze, le risolte decisioni, le timorose incertezze è quasi impossibile: se ne dovrebbe fare un articolo, un libro forse, apposito. Ci limiteremo quindi nel sottolineare come durante il suo regno si intrecciarono in un groviglio disgraziatissimo personaggi, vicende e circostanze tali da condizionare per sempre la Storia della Chiesa e quella del Mondo.

Il Giubileo del 1525

Nel primo periodo del suo pontificato, Clemente cercò in ogni modo di mantenersi in equilibrio tra Francia e Spagna e allo stesso tempo ottenere, quasi come premio per questo, i maggiori vantaggi territoriali possibili. Dunque tenne atteggiamenti moderati e un po’ vaghi su quasi tutte le vertenze che lo vedevano coinvolto (per esempio, nei confronti di Lutero: per non scontentare nessuno, evitò di imporne la cattura e la condanna al rogo come eretico, ma al tempo stesso mise in moto una serie di azioni per smentirne o confutarne le Tesi), e, in un tardivo e forse ingenuo tentativo di conciliazione e riunificazione sotto il mantello Cattolico Romano, indisse il nono Giubileo, con cadenza regolare, per il 1525.

Clemente VII volle seguire tutte le procedure e le prassi dei riti giubilari, anzi li rese più solenni, in primis l’Apertura della Porta Sante, e fece in modo che l’Anno Santo non fosse privo di spettacolarità e divertimenti popolari (grandiosi spettacoli di fuochi d’artificio illuminarono le notti dell’Urbe, e la novità rimase impressa nei ricordi dei contemporanei); abbellì chiese, conventi, e monumenti e migliorò l’assetto viario di Roma; ciononostante, l’afflusso di pellegrini fu molto scarso: dalla Germania, dilaniata dalla Rivolta Contadina8, neanche i fedeli cattolici poterono muoversi, e, con lo  scisma protestante, i luterani si guardarono bene dal portare soldi e legittimazione alla Nuova Babilonia dell’odiato Papa9.
Dalla Francia e dalla Spagna, così come dall’Italia, ben pochi si misero in viaggio penitenziale per via delle guerre e delle stragi conseguenti. Nei Balcani e nelle regioni danubiane, con i Turchi invasori, c’era altro da pensare10 .

In rosso il bilancio economico di questo Giubileo. Le spese non sono ripagate e gli incassi milionari delle edizioni precedenti sono solo un ricordo: oltretutto, per  cercare di bloccare l’emorragia protestante, si sono scoraggiate, limitate, e in molti casi proibite le vendite di indulgenze e gli oboli obbligatori.

 

GLI ALTRI ARTICOLI DELLA STORIA DEI GIUBILEI

parte 1: Come si inventa l’Anno Santo; le indulgenze; il primo Giubileo; un Papa poco misericordioso

parte 2: I giubilei medievali

parte 3: I giubilei quattrocenteschi. Arte, denaro, stercore, spurcitia et pediculis

 

  1. Per invogliare i francesi a venire a Roma, nonostante la loro ostilità verso il Papa spagnolo, molto si pubblicizzò l’opera di un giovane ma famoso scultore, una statua raffigurante la Vergine Maria Vestita, con Cristo morto in braccio collocata allora nella chiesa di Santa Petronilla, chiesa appunto dei francesi: era la Pietà di Michelangelo. []
  2. tra questi ultimi, nientemeno che Niccolò Copernico, allora 27enne ma già affermato scienziato. Copernico si trattenne a Roma circa un anno, durante il quale tenne apprezzate lezioni e conferenze guadagnandosi la stima della élite culturale ecclesiastica. Passeranno alcuni decenni, e proprio le teorie copernicane saranno messe all’indice ed i suoi sostenitori tacciati di eresia []
  3. aveva pattuito da solo, senza coinvolgere le istituzioni cittadine, tregue, patti e condizioni, e aveva ceduto tutto il cedibile a re Carlo in cambio di vaghe promesse []
  4. è questo uno degli episodi-chiave della storia europea: l’11 aprile 1512, alle porte della città romagnola, si affrontarono gli eserciti spagnolo-pontificio e francese-ferrarese. Per la prima volta in Europa venne fatto uso massiccio e con tattica moderna delle artiglierie, e ciò causò una strage mai vista: in un sol giorno morirono circa 20mila uomini. Papalini e spagnoli persero due terzi degli effettivi, i francesi, pur vincitori, un terzo dei loro soldati e il loro comandante, Gaston de Foix. Mentre gli imperiali superstiti fuggivano verso sud, i transalpini sfogarono la loro rabbia sulla inerme popolazione di Ravenna []
  5. La sede cardinalizia cui si fa riferimento era la prepositura della Collegiata di Santo Stefano, ovvero il Duomo di Prato, che dipendeva direttamente dalla Santa Sede []
  6. si tratta del Sacco di Prato, uno dei brutali episodi delle Guerre d’Italia. Oltre al gran numero di vittime – così come tutti i soldati presenti a difesa della città, almeno 3000 civili  pratesi vennero uccisi –  migliaia d’altri cittadini furono torturati, feriti, violati, venduti come schiavi. Il saccheggio fruttò uno dei maggiori bottini dell’epoca e impoverì Prato per i decenni a seguire []
  7. al fratello Giuliano conferì il  titolo di comandante degli eserciti pontifici e ne combinò poi il matrimonio con Filiberta di Savoia, della casa regnante francese. Lo face nominare Duca di Nemours e Governatore Perpetuo di Piacenza, Parma, Reggio e Modena; il nipote Lorenzo fu investito della Signoria di Firenze e per lui conquistò, con una dispendiosissima guerra, il Ducato di Urbino. Al biscugino  Lodovico Giovanni,  detto delle Bande Nere, assicurò una carriera militare e la costituzione di una sua propria compagnia di ventura []
  8. l’insurrezione, nata da rivendicazioni socio-economiche dello strato di popolazione più povero e vessato dei principati tedeschi, si sviluppò in un confuso susseguirsi di violenze e stragi, per terminare con  il  massacro di centinaia di migliaia di insorti []
  9. il dilagare della Riforma Protestante di Lutero, ormai era non più solo controversia teologica ma esplosiva e definitiva spaccatura politico-ideologico-territoriale della Cristianità. Nota nella nota: proprio nel mezzo delle celebrazioni giubilari, il 13 giugno di quell’anno 1525, Martin Lutero, ormai ex prete, si sposava con Katharina von Bora, a sua volta ex monaca []
  10. le invasioni turche nei Balcani e nel Mar Mediterraneo  videro cadere sotto il controllo degli Ottomani, in particolare sotto la guida di Solimano il Magnifico, tutta la Serbia, la Romania e l’Ungheria; Rodi, dalla quale l’ordine cavalleresco che la governava fuggì a Malta, e molte colonie genovesi e veneziane; l’Africa del Nord fino al Marocco e, in oriente, immensi territori anatolici e della penisola Arabica []