di Gabriele Pazzaglia
Il 30 settembre 2022 il dissidente russo Alexei Navalny ha pubblicato sul Washington Post un editoriale del quale non si è realmente discusso in Italia, ma che vale la pena conoscere e commentare. Navalny, infatti, è l’oppositore a Putin più conosciuto in occidente ed è di solito rappresentato come la carta sulla quale puntare nella prospettiva di un cambio di regime a Mosca. Egli, ricordiamolo, sta scontando una pena a 9 anni di carcere di massima sicurezza a seguito della condanna per l’appropriazione delle donazioni ricevute per la propria campagna elettorale del 2018, condanna che tutto l’occidente considera frutto di una montatura ordita dallo stesso Putin per mettere a tacere uno scomodo avversario; il Parlamento europeo lo ha insignito, alla fine del 2021, del Premio Sacharov per la libertà di pensiero, la più alta onorificenza della UE. Per questi motivi riteniamo importante conoscere le sue opinioni ed i suoi progetti.
L’originale dello scritto di Navalny, ovviamente, è disponibile in inglese e russo, ma mettiamo a disposizione una nostra traduzione integrale in italiano. Esso contiene alcune considerazioni molto nette sulla guerra scatenata da Putin e sull’atteggiamento dell’occidente.
Navalny esordisce definendo senza mezzi termini “criminale” la guerra contro l’Ucraina. Ma fa anche una chiara contestazione all’Occidente: di avere una tattica, aiutare l’Ucraina a resistere all’onda d’urto russa, ma non una strategia di lungo periodo. Se Putin perderà la guerra, si chiede, che succederà dopo? Il rischio è che il contraccolpo dovuto all’umiliazione della sconfitta genererà un’ulteriore marea di risentimento, non solo nei confronti dell’Ucraina, ma verso tutto l’Occidente, identificato oramai con la NATO, nei cui confronti Putin dichiara apertamente di combattere. Con la conseguenza che il mondo si troverà a dover aver a che fare con un regime ancora più aggressivo, dotato con un’economia che, pur sanzionata, sarebbe comunque in grado di supportare i relativi sforzi bellici e che avrebbe sempre a disposizione l’armamento nucleare che tanto ci preoccupa in questi giorni.
Quindi secondo Navalny l’azione di noi euro-americani è sostanzialmente miope e limitata (la tattica) e non guarda oltre alla sconfitta militare nel Donbass: semplicemente non c’è un progetto di lungo periodo, una visione che auspichi e permetta un assetto definitivo dei rapporti tra la Russia e lo stesso Occidente. Questa mancanza di strategia è per il dissidente russo il punto debole e anche pericoloso della nostra politica.
Effettivamente è evidente che noi Occidentali non abbiamo un progetto a lungo termine per trovare un modus vivendi con un vicino come la Russia la cui destabilizzazione o la permanente conflittualità non potrebbe che condizionare anche la vita delle nostre società.
Oltretutto Navalny non dà neanche per scontato che una sconfitta militare più o meno esplicita determini la caduta di Putin. Anzi, lo stesso potrebbe rimanere in sella rilanciando la spinta imperialista, con una politica più aggressiva ed armi più potenti. Ma anche se lo Zar cadesse, si rischia la sua sostituzione con un altro esponente del suo entourage, esito che non sarebbe certo un atto di distensione, dato che, spiega l’editoriale, tutta la “cerchia putiniana” è comunque preda di questo fanatismo bellicista, che considera la sottomissione dell’Ucraina necessaria per tornare ad avere un ruolo geopolitico di rilievo. Infatti, dice sempre Navalny, i vertici russi non fanno mistero di questa visione perché la guerra in Russia, semplicemente paga, in termini di popolarità e di mobilitazione della parte della popolazione pervasa da questo miraggio neo-imperialista. La stessa capacità di Putin di diventare il dominus incontrastato della politica russa, da uomo semisconsociuto che era, è legata alla seconda guerra cecena.
Se ne deduce che Navalny non sarebbe affatto d’accordo con i vari giornali e opinionisti italiani, sedicenti esperti, che in questi giorni auspicano un golpe interno che metta fuori gioco Putin e avvii così la fine della guerra, perché la contrapposizione con l’Ucraina è un credo di tutta la classe dirigente e non un fatto personale del Presidente russo; l’eventuale rimozione di quest’ultimo non sarebbe comunque un abbandono della sua strategia.
La guerra paga, in termini di consenso, in Russia, ci dice Navalny: una considerazione effettivamente plausibile se pensiamo che sempre nella storia, i popoli, o almeno le loro frange più estremiste, sono stati mobilitati, ammaliati e infine soggiogati, da chi è riuscito a fare perno sul senso di una grandezza perduta: Hitler in Germania, i colonnelli in Grecia, la dittatura argentina, la Spagna di Franco e il Portogallo di Salazar rispetto alle colonie perdute, per non parlare della retorica della vittoria mutilata fatta propria dal fascismo, che in Italia dovremmo ben conoscere.
Ma, attenzione, Navalny sostiene, non sappiamo quanto a ragione, che la maggioranza della popolazione sia comunque contraria a questa guerra, e che il sistema di potere abbia bisogno della propaganda, della censura e della minaccia del carcere per far funzionare la sua macchina militare e perpetuare il potere stesso delle élites dirigenti. Nonostante la pervasività del sistema, nelle grandi città e tra nelle fasce più giovani della popolazione, egli sostiene, vi è la diffusa percezione che questa guerra sia sostanzialmente sbagliata.
Balza agli occhi una contraddizione nel pensiero di Navalny: la guerra paga, in termini di consenso, o la maggioranza è contraria? Forse per necessità di sintesi manca una parte dell’argomentazione, o forse intende che l’ipermobilitazione della minoranza nazionalista mette in ombra la maggioranza silenziosa, che resta tale. Come che sia, comunque, secondo noi, l’Occidente dovrebbe considerare tali fasce della popolazione russa e chiedersi se le sanzioni, come oggi sono applicate, non rischino nel lungo periodo di compromettere questa silente ma corposa opposizione a Putin, invece di rafforzarla e alimentarla.
Navalny individua poi un peccato originale del sistema autocratico della Russia moderna, che per una curiosa coincidenza dei tempi, ci interessa particolarmente come italiani: il presidenzialismo, che ha permesso l’accentramento di tutto il potere nelle mani di un sol uomo. Secondo Navalny, con la disgregazione dell’URSS i Paesi che hanno scelto forme di governo parlamentari, come quelli baltici, si sono avviati verso la via del progresso e dell’integrazione nell’UE; Stati come l’Ucraina o la Moldavia hanno scelto una sostanziale via di mezzo con sistemi semipresidenziali, ed hanno ottenuto scarsi progressi; Stati come la Russia e i paesi schiettamente suoi satelliti, che hanno optato per un sistema presidenziale, si sono ritrovati con un autoritarismo bellicoso.
La soluzione è… la trasformazione della Russia in una Repubblica parlamentare, proprio il percorso inverso del filo-presidenzialismo italiano degli ultimi anni, che ha trionfato alle elezioni (ben oltre il singolo partito della Meloni). Certo, scrive sempre Navalny, una repubblica parlamentare non sarebbe la panacea di tutti i mali, ma eviterebbe la presa totale del potere da parte del presidente eletto; riforma da attuare parallelamente all’indipendenza del potere giudiziario e all’aumento dei poteri degli enti locali. E darebbe uno sbocco politico a tutte le persone che in Russia, oggi, sono contro la guerra e l’aggressività nei confronti degli stati vicini, ma non hanno nessuno per cui votare.
Cosa dovrebbe fare l’Occidente? Navalny è chiaro solo su un punto: non dovrebbe imporre la sua scelta nel sistema della forma di governo, che sarebbe percepita come un’intollerabile ingerenza. Il popolo russo deve essere lasciato libero di decidere le proprie istituzioni. Ma sul ruolo che comunque l’Occidente dovrebbe avere è invece più fumoso visto che, comunque, auspica che in qualche modo assecondi la transizione verso il parlamentarismo multipartitico, favorendola: in primo luogo facendo qualche diplomatica pressione nei confronti della dirigenza russa, che deve essere messa al corrente di cosa l’Occidente si aspetti per avere rapporti di buon vicinato. Dice Navalny che dovremmo evitare di ripetere l’errore fatto dopo il crollo del muro Berlino, cioè dire ad un unico soggetto politico, persona o gruppo che sia, “hai il nostro appoggio, fai quello che vuoi, purché tu ci venda il gas”. Sembra un’esortazione, molto condivisibile, ad utilizzare il potere di persuasione dell’Europa per avviare la Russia verso un compiuto regime democratico, e non per legittimare singoli soggetti (quindi neanche lui?) sganciati da ogni effettivo controllo.
Inoltre auspica un uso intelligente e flessibile delle sanzioni che dovrebbero essere progressivamente revocate di pari passo ai progressi compiuti nella direzione dello sviluppo democratico della Russia.
In conclusione possiamo dire che questo documento sembra molto più rivolto all’interno della società Russa, alla quale offre un piano che vorrebbe realizzare una vera rigenerazione politica, e non una semplice riforma delle proprie istituzioni. Mentre all’Occidente, di fatto, chiede un passo indietro, appoggio ma non ingerenza, nessun colpo di testa, nessun proposito di trascinare Putin all’Aja, e forse nemmeno una sua immediata detronizzazione, visto che non dice come sarebbe auspicabile concludere la guerra.