Il secondo turno delle primarie, la vittoria di Bersani, ed altre cose.

di Marco Ottanelli

Una premessa necessaria: non risultano, nonostante le ricerche, paesi al mondo che indicano le primarie di coalizione a doppio turno. Il ballottaggio, quindi, è un unicum italiano, una caratteristica del tutto peculiare del già peculiare modo di inventarsi di volta in volta una consultazione con regole variabili, partecipanti variabili, partiti variabili e, questo lo sappiamo tutti, intenti variabili, tra i quali intenti quello di individuare il prescelto alla inesistente figura di candidato premier è sicuramente tra gli ultimi in ordine di importanza, per gli organizzatori ed i partecipanti, ché la Costituzione, per fortuna, rimane ancora in piedi, nonostante la voglia di premierato plebiscitario che (a- ed in- costituzionalmente, appunto) i pretendenti al trono manifestano. Qualcuno meno, qualcuno più.

Questo ballottaggio, paradossalmente, era stato voluto dalla segreteria di Bersani e molto malvisto dall’entourage di Renzi (“Mi pare un errore inserire il ballottaggio: alle primarie chi arriva primo vince. Non è che dopo aver vinto, poi, c’è la gara di ritorno”, sosteneva il sindaco solo l’ottobre scorso); ed invece poi, a parti ribaltate, son stati i bersaniani a frenare sulle nuove iscrizioni, e i renziani ad insistere perché queste nuove iscrizioni fossero ammesse1.

Le polemiche in corso di votazione che attribuivano il calo dei votanti alle “regole” sono state pretestuose e, a voler pensar bene, ingenue. Nessuna regola aggiuntiva ha determinato alcun calo dei votati, anzi, al ballottaggio hanno avuto diritto di voto circa 7400 persone in più. Poche, ma in più. Il calo dell’affluenza al ballottaggio è una consolidato fenomeno fisiologico naturale e ovvio in ogni paese, sistema e tipologia di votazione, dovuta al semplice fatto, tra gli altri, che molti elettori non si riconoscono nei due candidati “superstiti” e quindi non votano. Tra i cultori del doppio turno, questa banalità avrebbe dovuto essere postulare.

Il voto.

Il primo turno delle primarie del centrosinistra si era svolto tra tre candidati di un partito della coalizione (PD), un candidato di un altro partito della coalizione (SEL), un partito della coalizione senza candidato (PSI), ed un candidato di un partito che non faceva parta della coalizione stessa (API).

Il secondo turno delle primarie del centrosinistra si è svolto tra due esponenti di un unico partito della coalizione.

Gli osservatori esteri si son scolati molte birre bersaniane per chiarirsi le idee, ma non sono ancora venuti a capo di un simile garbuglio. I votanti italiani, invece, sì, regalando più del 60% dei loro consensi al segretario del PD.

La vittoria di Bersani è netta, e così la sconfitta di Renzi, ma è interessante vedere in che termini.

Abbiamo dunque detto che i voti a questo ballottaggio sono stati molti meno a fronte quelli di una settimana fa; il problema è sapere quanti siano stati il 25 novembre: sul sito ufficiale delle primarie, in realtà, compaiono ben quattro risultati ufficiali diversi, che danno le seguenti cifre: 3.110.210; 3.110.211; 3.114.476; 3.130.038 voti((All’indirizzo https://www.primarieitaliabenecomune.it/risultati-definitivi , compaiono dati discordanti ed imprecisi rispetto proprio ai risultati definitivi del primo turno. Nel piccolo schema riassuntivo in alto, si legge che i voti validi totali sono stati 3.110.210 ma sommando i voti validi dei cinque candidati in quello stesso piccolo schema, il totale fa 3.110.211 (uno in più…). Nel grande schema suddiviso in regioni e province, si legge, in fondo, che i voti validi totali sono invece 3.114.476, quindi altri 4500 circa in più….e questo senza, pare, le circoscrizioni estere, con le quali (ma non erano già state aggiunte??) si arriva alla cifra di 3.130.038.)). Non sapendo quale sia la cifra reale, ci attentiamo al primo dei risultati forniti, quello che è stato fornito a tutti i mezzi di stampa come ufficiale. Per gli altri numeri, lasciamo a voi il giudizio; però al ballottaggio hanno avuto diritto al voto altri 7.094 cittadini rispetto al primo turno.

Quanti elettori hanno quindi partecipato al ballottaggio? Finalmente, ed è per ciò che questo articolo viene scritto solo adesso, il pomeriggio del 5 dicembre, sono disponibili i dati definitivi del secondo turno.

voti validi sono stati 2.802.282; si sono astenuti, rispetto al 25 novembre, 314.920 persone circa. Schede bianche e nulle: 6.280

Bersani è passato dal 44,9 al 60,65%, con 1.706.457 voti – Renzi dal 35,5 al 39,35% con 1.095.925 voti.

L’ incremento percentuale (da non confondersi con la differenza di punti percentuali: è l’incremento che è l’unico indice valido di aumento del consenso), la accelerazione relativa, è dunque stata, rispettivamente, del 26% per il segretario e del 10% per il sindaco di Firenze. Il che, detto in termini meno matematici e più logici, data la assenza di tre competitori su cinque, ed il calo dei votanti, vuol dire che la spinta di Renzi si era già completamente esaurita al primo turno, il che viene confermato ineluttabilmente dal fatto che, mentre, in termini assoluti, Bersani è andato avanti ancora un bel po’, conquistando 301mila voti in più, Renzi, in una settimana, non solo non ne ha guadagnato nessuno, ma ha addirittura perso più di 5000 consensi. Questo, più che il fatto di essere arrivato secondo, è l’indice della sua sconfitta: avere uno zoccolo duro dal quale non riuscire a staccarsi, neanche nella condizione ottimale di essere al centro del dibattito.

Attenzione: non che questo voglia significare che Renzi non conti niente: un 35% dei consensi, 1 milione e 100 mila simpatizzanti, devono pur pesare, sulla bilancia della politica. Ma rimangono sempre un terzo del totale, ed un terzo nel PD, cosa che più conta. Renzi ora ha calato le carte, e le carte son quelle, non di più. Sta alla sua intelligenza farne tesoro.

Così come sta a Bersani fare tesoro di un successo che appare se non scontato, quasi naturale: infatti, guarda caso, il “candidato premier” del centrosinistra sarà il segretario del partito più grande (e di svariate volte) tra quelli della coalizione. Insomma, il fatto che il segretario politico di una formazione che, secondo i sondaggi, è il primo partito italiano possa essere indicato come presidente del consiglio, non sorprende e non stupisce. Anzi, chi altri?

C’era bisogno di fare le primarie, per scoprire una cosa così ovvia? Per il paese, forse, no, non era necessario. Ma per gli equilibri interni al PD e ai suoi “vicini di casa”, sì.

PS: si apre, in casa piddina, un caso Toscana che non può essere ignorato. La regione di Renzi, e la sua città, sono le uniche in controtendenza, le uniche dove Renzi ha guadagnato, rispetto al primo turno, voti, tanto in percentuale quanto in termini assoluti. È impossibile che un tale consenso localizzato, e forte, e convinto, e numericamente determinante, non abbia ripercussioni, nei prossimi mesi, quei pochi mesi che ci separano dalle elezioni, sugli equilibri delle segreterie e degli apparati di un partito che proprio in Toscana ha una delle sue più importanti basi elettorali.

  1. Se al primo turno Renzi fosse arrivato in vantaggio rispetto a Bersani, si sarebbe visto uno svolgimento polemico opposto, con i renziani a dir di no ed i bersaniani a dir di sì. Ne sono sicuro così come son sicuro che domani sorga il sole: un evento che potrebbe anche non verificarsi, ma sul quale mi sento di poter scommettere []