Il discorso al Senato di Liliana Segre: concetti alti e nobili da meditare

Luciana Segre presiede il Senato

di Massimo Niro*

Dopo le recenti elezioni del 25 settembre la situazione politica italiana si è indubbiamente chiarita, vista la netta maggioranza dello schieramento di destra e al suo interno l’indiscutibile successo del partito “Fratelli d’Italia” di Giorgia Meloni. Nondimeno, se va dato atto della rapida formazione del nuovo Governo presieduto dalla Meloni, non possono tacersi i contrasti emersi non solo tra i partiti di schieramenti diversi (della maggioranza e dell’opposizione), ma anche all’interno della stessa maggioranza vittoriosa, in particolare tra Fratelli d’Italia e Forza Italia (del redivivo Silvio Berlusconi).

In questo quadro caratterizzato da chiaroscuri e da non sopite polemiche e scontri tra i diversi gruppi politici, un punto fermo ci pare rappresentato dal discorso inaugurale tenuto al Senato il 13 ottobre scorso dalla Senatrice a vita Liliana Segre, chiamata a presiedere la prima seduta del Senato in qualità di senatore più anziano, stante l’indisponibilità dell’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Si tratta di un punto fermo – a nostro avviso – non solo per l’autorevolezza e il prestigio della Senatrice Segre, che proviene dalla sua stessa ben nota storia personale, ma anche e soprattutto per il contenuto delle sue parole, che ci è parso assolutamente limpido e puntuale nel delineare le prerogative ed i compiti del Parlamento di un Paese democratico in un momento così difficile e delicato per l’intero contesto internazionale. Una sorta di breviario laico per il nostro sistema democratico, che certamente è ammaccato ma pur sempre solidamente ancorato alla Costituzione repubblicana del dopoguerra.

Non c’è nessuna retorica nel discorso di Liliana Segre, al contrario c’è la consapevolezza e la determinazione dettata dalla sua lunga e straordinaria esperienza di vita, oltre che la sua “ingenuità di madre di famiglia” (come da Lei stessa affermato). Anzitutto, la Senatrice a vita raccomanda ai componenti del Senato della XIX legislatura, ossia di una “istituzione profondamente rinnovata”, l’opportunità di “dare l’esempio”, lasciando fuori dall’assemblea parlamentare la “politica urlata” e cercando invece di dar voce ad una “politica alta e nobile”, che si apra all’ascolto degli altri e si esprima con gentilezza e con mitezza.

Non è un discorso utopistico e non sono soltanto belle parole: così come “non è poesia e non è utopia “il dettato dell’art. 3 Cost. opportunamente richiamato dalla Segre, in particolare il suo secondo comma che assegna alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese “. Si tratta, infatti, della “stella polare che dovrebbe guidarci tutti, anche con programmi diversi”.

Del resto, c’è una verità spesso dimenticata che la Sen. Segre sottolinea con nettezza, cioè l’imperativo di “preservare le istituzioni della Repubblica, che non sono proprietà di nessuno ma sono di tutti”. Al fondo di questo discorso di alto profilo c’è la fiducia in un nucleo essenziale di valori condivisi, che nel nostro Paese si trova racchiuso nella Costituzione repubblicana, nata dal sacrificio di tanti cittadini e cittadine caduti per la libertà (come ha insegnato il Padre costituente Piero Calamandrei, opportunamente ricordato da Liliana Segre). Dunque, è nella Costituzione del 1948 che tutti i partiti politici, di destra, di centro e di sinistra, dovrebbero riconoscersi come in un patrimonio comune di valori e di ideali. Ciò però non è avvenuto e non avviene neppure oggi: forse è proprio qui l’origine del cattivo funzionamento della nostra democrazia.

Sono state diverse e di diversa provenienza politica le proposte di modifica della Costituzione succedutesi nel corso di questi anni, alcune delle quali sottoposte a referendum, ai sensi dell’art.138 comma 2 Cost., e non approvate dal popolo (così nel 2006 e nel 2016). Si può, pertanto, affermare che “il popolo italiano ha sempre dimostrato un grande attaccamento alla Costituzione” e che “in ogni occasione i cittadini hanno sempre scelto di difenderla, perché da essa si sono sentiti difesi”. Al riguardo, si condivide la seguente affermazione della Segre: “se le energie che sono state spese per cambiare la Costituzione fossero state invece impiegate per attuarla il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice”.

Grande è la responsabilità della nostra classe politica, di qualsiasi tendenza e schieramento, per non aver capito che occorreva principalmente occuparsi dell’attuazione di molte disposizioni della Costituzione e solo secondariamente provvedere, con le modalità appropriate, alla modifica di sue specifiche disposizioni. Ma forse è ancora possibile rimediare: la classe politica e prima di tutto il Parlamento (di cui va riaffermata nei fatti la “centralità”) possono ancora dare segni di ravvedimento, “dare l’esempio” nel senso auspicato dalla Segre, dimostrare di voler cambiare rotta nella condivisione dei valori costituzionali ed anche delle “ricorrenze civili “, che caratterizzano la nostra storia (come il 25 aprile, il 1° maggio e il 2 giugno).

Occorre tuttavia fare presto: il momento è di estrema difficoltà, con una guerra in corso da mesi all’interno dell’Europa e le sue gravi conseguenze anche di carattere economico-finanziario, che minacciano la sopravvivenza di tante famiglie e imprese italiane. Liliana Segre conclude così il suo nobile intervento: “Non c’è un momento da perdere. Deve venire il segnale chiaro dalle istituzioni che nessuno verrà lasciato solo prima che la paura e la rabbia possano raggiungere livelli di guardia”.

Parole sagge, misurate, lungimiranti, di cui fare tesoro per operare scelte adeguate e dettate soltanto dalla preoccupazione per il bene comune.

 

Massimo Niro è un giurista, ex magistrato.

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