I risultati delle elezioni europee: successi (parziali), sconfitte (relative) e astensione

di Gabriele Pazzaglia e Marco Ottanelli

Il fattore più importante delle elezioni europee 2024 è l’astensione. Sono anni ormai che, consultazione dopo consultazione, l’astensione aumenta, e stavolta ha superato la metà degli aventi diritto: ben il 50,31% degli italiani ha disertato le urne1. La regione dove si è votato di più è l’Umbria, col 60,81%, e quella dove si è votato meno la Sardegna, col 36,25.
La provincia con l’affluenza più alta è stata quella di Firenze, col 65,07%, quella con l’affluenza più bassa Nuoro, col 29,76.

Quando l’astensione raggiunge quote tanto alte, non è solo per disinteresse o pigro qualunquismo, è un segnale di disaffezione e senso di estraneità che, nel Sud, è arrivato ad un livello sociologicamente preoccupante. Per dirlo in altri termini, non è più un problema politico-partitico ma un fenomeno socio-culturale. Gli spazi vuoti lasciati dalla partecipazione civica rischiano di essere colmati da forme alternative e non rassicuranti di aggregazione, potere ed interessi. Ben farebbero i partiti, il governo, il Parlamento ed i media a smettere di leggere il Sud in chiave di mero oggetto (inteso come zavorra insanabile da rigettare o come, all’opposto, povera inerme vittima da imbottire di sussidi) e ad aprire invece una riflessione scientifica sulle cause e le potenzialità dello status di quello che è un quarto del Paese2.

Passiamo ora all’analisi del voto vera e propria. Per cercare di capirci qualcosa, studiamo per primo il grafico dei voti assoluti, valore sempre troppo poco considerato ma che ha un significato importantissimo dal punto di vista dell’appeal, della capacità insomma di un partito di piacere, attrarre fiducia e consensi. I voti assoluti sono insomma un potente correttore rispetto alle percentuali, rimodulando la portata delle varie vittorie o sconfitte.
Dai numeri si evince infatti che Fratelli d’Italia, nonostante il trionfalismo della Meloni, e nonostante il potere che esercita, non ha conseguito quel plebiscito popolare che molti paventavano. Vero che la partecipazione è stata bassa, ma come mai ci son state ben 600 mila persone in meno, rispetto a soli due anni fa, che hanno messo la X sul partito? I flussi in arrivo dalla Lega, Giorgia capolista, l’assidua presenza mediatica non sono bastati a colmare la differenza con i delusi, gli sfiduciati, i poco entusiasti.

All’opposto invece è da considerarsi quanto occorso al PD: è innegabile che il recupero di voti pur in presenza di alta astensione sia un successo per la segreteria Schlein che evidentemente ha saputo attrarre, convincere, portare a sé molti elettori che con le precedenti gestioni del partito si erano allontanate. Anzi, nel combinato coi buoni risultati di Sinistra-Verdi, almeno stavolta gli italiani hanno mostrato di gradire la collaborazione tra Partito Democratico e aree progressiste, pacifiste, ambientaliste (anche se i riformisti Bonaccini e Nardella, che costituirono il ticket anti-Schlein alle primarie, hanno raccolto moltissime preferenze; contraddizione non sorprendente in un partito dalle molte anime e dalle plurime linee politiche).


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La Lega di Salvini paga le tensioni interne e quelle con i suoi stessi alleati, e si vede rosicchiare ancora un po’ di consensi dopo il crollo disastroso di due anni fa. E sarebbe interessante poter sapere quale è il bilancio dell’operazione Vannacci: siamo sicuri che egli abbia portato più voti di quanti non ne abbia fatti perdere, al Carroccio? Le critiche di Zaia ed altri importanti esponenti leghisti, per non parlare dell’abiura di Bossi, ci fanno dubitare sul successo di tale candidatura (che ha oscurato tutte le altre) e del conseguente posizionamento politico nazionale ed europeo della Lega.

Molto male il Movimento 5 Stelle: sono milioni gli elettori che hanno abbandonato Conte. L’emorragia è iniziata da tempo, e visto lo sfascio di quello che fu il gruppo dirigente e le mille defezioni in ogni possibile assemblea elettiva, ci si chiede chi si possa identificare in cosa per votare un partito che (ricordiamolo, erano elezioni europee) non si sa neanche a quale gruppo aderirà a Bruxelles.

Passiamo ora a valutare le percentuali. Ci serviranno per fare valutazioni generali. La prima è che in questa chiave, sì, la vittoria di FdI appare più netta e la sua affermazione progressiva; però se sommiamo tutte le forze che compongono la maggioranza, vediamo che il totale non arriva neanche al 50% (si ferma al 47,42%) e si piazza addirittura sotto la seppur frammentata opposizione: senza neanche contare la formazione di Santoro, essa arriva al 47,91%! Quindi nel suo complesso, la maggioranza è uscita minoranza, dalle urne. In un Paese normale si sarebbe quantomeno aperta una riflessione, su questo.


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Si è invece tornati a dibattere dell’eterno tormentone italiano: commentatori e opinionisti hanno, ancora una volta, esaltato l’affermarsi, o il riaffacciarsi, del (a loro dire benefico e sacrosanto) bipolarismo. Ora, chiunque abbia studiato a fondo la Scienza Politica, sa che è ben arduo chiamare bipolarismo un sistema nel quale, oltre a due partiti maggiori, ce ne sono altri tre attorno al 10% l’uno; ancor più ardua appare la definizione se in tale sistema si affermano altre forze (i verdi-sinistra) che sfiorano il 7% e se, inoltre, c’è un centro oscillante e ondivago di pari portata. Oltretutto, a smontare il mito ed il feticcio del bipolarismo, uno dei due presunti poli ha cambiato, in dieci anni, il partito egemone, per ben tre volte (prima Forza Italia, poi la Lega, ora Fratelli d’Italia).  In Scienza Politica, per citare Giovanni Sartori, siamo al massimo in un multipartitismo polarizzato.  Sembrano definizioni astratte, ma politici e commentatori sanno, o dovrebbero sapere, che tali diversi sistemi comportano dinamiche e conseguenza assai diverse.

Ecco, ‘sto centro, che poi sarebbe il transustante uno e trino Renzi-Calenda-Bonino… si è molto criticata la loro litigiosità che, dividendone le forze, ha impedito loro di superare il quorum. Ma ‒ diciamo noi ‒ qualcuno ha letto i loro rispettivi programmi, ha seguito le loro prospettive politiche, ha ascoltato le loro proposte? Le differenze sono spesso macroscopiche. Meglio quindi divisi ‒ diciamo così ‒  onestamente prima che  dopo essersi presa una poltrona o due, paventando agli elettori un’ingannevole unità di intenti.

Insomma, il Popolo Sovrano è chiamato a scegliere chi lo rappresenta secondo programmi ed ideali, non a legittimare quelli che appaiono più come comitati elettorali personalisti di questo o quel leaderino.3

Non si baratta la rappresentatività e la rappresentanza in Europa con qualche  percentuale.

Abbiamo iniziato la nostra analisi partendo dal dato dell’astensione/partecipazione al voto. Torniamo sull’argomento ponendoci la doppia domanda: ma in un Paese che si astiene oltre il 51%, chi è che va a votare? E cosa votano o non votano coloro che si recano al seggio?
Per rispondere a questa domanda abbiamo elaborato un grafico che mostra i risultati tendenziali, delle elezioni europee 2024, di ogni partito in funzione della partecipazione. Non si tratta di una media, ma, appunto, di una tendenza. Ed il risultato ci pare interessante.

 


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Come si può notare, i partiti maggiori hanno raccolto più voti dove l’affluenza è stata maggiore, mentre i partiti più piccoli hanno avuto un risultato migliore via via che l’affluenza diminuiva.

In altre parole questo grafico dimostra, assai più di vaghe analisi dei flussi,4 che l’astensione ha danneggiato molto più i partiti maggiori che non i minori.

Quindi chi si è assentato alle urne, tendenzialmente avrebbe votato FdI, PD o FI; ma non lo ha fatto. Al contrario, chi è andato comunque a votare, anche in regioni a bassissimo tasso di partecipazione, ha tendenzialmente preferito una formazione più piccola, in un certo senso alternativa.

Politicamente questo conferma che ad alte percentuali non sempre corrisponde grande ed entusiastica adesione (come illustrato nei due grafici precedenti numeri assoluti vs. percentuali) e che quindi le maggioranze, i partiti ed i leader italiani sono ancora in una fase fluida e sempre a rischio di perdere il consenso, perché chi è scontento, chi non si identifica con la/le maggioranza/e del sistema e del suo ambiente, va a votare un po’ di più di chi è tutto sommato soddisfatto o rassegnato a quel potere. È quasi un lieve segnale di protesta, di ribellione, sicuramente di diversificazione.

In conclusione

L’astensione crescente, le dinamiche che la formano, gli elementi che la compongono, la tendenzialità che la caratterizza dovrebbero essere considerate, in democrazia, stimolanti sfide, non disprezzabili e al tempo stesso ineluttabili problemi. A differenza dell’epoca dei partiti di massa, degli schieramenti compatti e un po’ sclerotici, delle ideologie e delle tessere, epoca nella quale l’astensione era residuale, oggi è nel suo enorme  bacino che c’è da ricercare, convincere e raccogliere i voti per affermare, consolidare e ‒ se possibile  aumentare il consenso. Anzi, tra i tre obiettivi, il consolidare è a nostro giudizio il più importante, perché l’elettorato si è dimostrato fluido (ed anzi, volubile), come il combinato dei nostri tre grafici conferma.

Il fenomeno non è solo italiano, sia chiaro, è più o meno diffuso in tutta Europa, con cause ed effetti diversi Paese per Paese ma, nel suo complesso, con caratteristiche comuni. Perché in questo grande, ma in fondo recente esperimento mondiale che è la democrazia costituzionale, abbiamo determinato una verità un po’ paradossale: il guaio della democrazia è che la sua forza sta nella sua incertezza, e la sua fortuna è che l’instabilità la ravviva invece di spegnerla. Perché tanto più un governo, un sistema, un regime o un leader è fisso ed inamovibile, tanto più siamo vicini alla oligarchia, alla autocrazia e infine  alla dittatura. Al contrario, tanto più e tanto più facilmente il potere è contendibile, e tanto più è possibile scalzarvene (ovviamente con mezzi pacifici e legali) chi lo occupa e sostituirlo, tanto più si afferma il principio democratico. La democrazia è in quanto tale instabile e flessibile, così come la dittatura è monolitica e inamovibile.

La stabilità, dunque, in democrazia, non si misura con le crisi di governo o con le sfiducie, e neanche con le elezioni anticipate: si misura nella espressione della volontà popolare e nel passaggio legittimo dei poteri.

Non importa inventarsi formulette magico-matematiche come Maggioritario, Presidenzialismo, Premierato5 e altri trucchetti, per dare stabilità e governabilità: esse si trovano nel consenso dell’elettorato e nella coerente capacità degli eletti di fornire risposte ad esigenze, necessità, bisogni e desideri dell’elettorato stesso.


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NOTE:

  1. se consideriamo il voto degli “italiani all’estero” la percentuale degli astenuti sale ancora, e arriva al 51,69 []
  2. per evitare di essere vaghi e fumosi, facciamo un esempio concreto: a fronte del fatto che la stragrande maggioranza degli studenti fuori sede sono meridionali che vanno al Nord, si cerca di governare il fenomeno, con piagnistei e proteste vittimiste, colpevolizzando i proprietari di case in affitto e costruendo – a suon di milioni – studentati a Firenze, Bologna, Milano e Torino. NIENTE viene invece fatto per migliorare, aumentare, la qualità edilizia, organizzativa e soprattutto didattica, scientifica e formativa delle università del Sud, col risultato che, ineluttabilmente, i migliori docenti, studenti e ricercatori continueranno sempre più a emigrare verso il settentrione e gli atenei, le città e le regioni del Sud si desertificheranno sempre più condannate ad una progressiva e devastante marginalità []
  3. si pensi al caso di Italia Viva: il deputato europeo Danti si è visto improvvisamente sottrarre la già pallida possibilità di essere ri-eletto dall’improvvisa, ed evidentemente decisa senza alcuna consultazione, candidatura di Renzi. Sapendo bene che, nell’eventuale superamento del quorum, l’unico a passare sarebbe stato il capo del suo partito, Danti ha pubblicato, il primo maggio,  queste melanconiche parole sui social:

    Cari amici,
    la candidatura di Matteo Renzi è una buona cosa per la lista Stati Uniti d’Europa.
    È evidente che la regola della doppia preferenza di genere impedisce a me di fare una corsa che possa avere una qualche minima possibilità di competere.
    Il materiale era pronto, volantini, manifesti, santini, roll up, e come sapete non mi sono risparmiato nelle ultime settimane a girare per il collegio per fare la campagna elettorale.
    Ma la mia corsa finisce qui. Prima del via ufficiale.
    Ovviamente neanche la doppia preferenza al maschile lo avrebbe potuto recuperare. Sapeva benissimo che i suoi ‒ sempre meno numerosi ‒ elettori avrebbero diligentemente espresso in massa la preferenza per Renzi; così come poi è stato []
  4. analisi basate quasi esclusivamente su dichiarazioni non verificabili degli elettori, molto spesso raccolte via internet con questionari anonimi []
  5. che oltretutto non garantiscono un bel niente! Nei Paesi dove presidenzialismo e premierato sono in vigore, come ad esempio il Regno Unito, i Paesi Bassi, la Spagna e la Francia,  da un decennio si assiste a continue cadute di governi, scioglimenti del Parlamento, crisi istituzionali, rotazione di leader al potere e confusione politica crescente! []