I furti in appartamento sono in aumento. È legittimo difendersi? Numeri e regole.

Di Gabriele Pazzaglia

I fatti di Lodi (l’uccisione di un ladro da parte di un cittadino che lo ha sorpreso nella sua tabaccheria), rilanciano l’annosa questione della legittima difesa, soprattutto nelle zone italiane da tempo flagellate da furti in appartamento e in attività commerciali.
Non entreremo nel merito della vicenda. La ricostruzione dei fatti è affidata alla magistratura e a nessun altro. Parleremo invece in generale per rispondere a due domande ricorrenti nel dibattito pubblico: quando è legittima la difesa? E le regole sono giuste?

Alla prima domanda è facile rispondere, semplicemente leggendo la legge. L’art. 52 del codice penale stabilisce che la difesa è legittima quando proteggiamo un diritto dal «pericolo attuale di una offesa ingiusta» a patto che la reazione sia «proporzionata all’offesa». È un chiaro principio di civiltà che, mancando, pemetterebbe a chi riceve anche una semplice ingiuria di avere una reazione, appunto, sproporzionata, illimitata, fino all’uccisione del suo prossimo.

Questa regola fu inserita nel codice degli anni ’30. Il fascismo pensava non vi fosse altro da dire e lasciò che questa disposizione fosse concretizzata di giorno in giorno dai tribunali che avrebbero dovuto distinguere tra i vari casi facendo attenzione soprattutto al più sfuggente dei criteri: la proporzionalità della reazione. In sua mancanza sarebbe stato commesso un reato colposo, di volta in volta omicidio o lesioni, a seconda del caso.

Nel 2006, negli ultimi mesi del III Governo Berlusconi, soprattutto su impulso della Lega Nord, all’articolo 52 fu aggiunto un capoverso; esso specifica che solo e soltanto nei casi di furto in appartamento o in un’attività economica la difesa è considerata proporzionata (quindi anche se non lo è davvero) quando il derubato protegge sé stesso o un’altra persona oppure i suoi beni purché, in quest’ultimo caso, i ladri non desistano e vi sia anche “pericolo di aggressione“. Questa aggiunta crea una sensibile novità: anche se l’aggredito ha una risposta esagerata non viene più punito.

Dunque, non si è stabilito “il diritto di uccidere il ladro”, non si sono rivoluzionate le regole sulla legittima difesa, che sempre difesa (e non sparatutto) rimane. Ma è una giusta norma a favore della vittima perché la si è così voluta togliere dal rischio sia di una condanna, per l’imprevedibilità della decisione del giudice nel singolo caso, sia dalla soggezione ad un processo che sarebbe stato nocivo anche se avesse portato all’assoluzione. Come dicevano gli antichi «l’aggredito non ha una bilancia in mano», ovvero non ha certo il tempo, il modo, la razionalità di valutare, né umanamente né giuridicamente, se la sua reazione sia perfettamente proporzionata.

Su queste regole la giurisprudenza si è dimostrata univoca. Anzi, è andata oltre perché la Cassazione ha riconosciuto che la reazione è proporzionata per legge anche se l’aggredito non è veramente in pericolo ma ha comunque motivo di pensare di esserlo((Vedi Cass.11610/11, il caso di una persona che è andata a casa di un conoscente per farsi rendere il proprio decoder TV. Aperta la porta, hanno litigato. Il proprietario ha cercato di non farlo entrare, ma l’aggressore c’è riuscito comunque. Spaventato, il proprietario ha preso un coltello da cucina e lo ha accoltellato benché fosse disarmato. La Cassazione ha detto che i giudici possono solo (e devono) verificare e motivare se chi si difendeva aveva colpa nella sua errata valutazione di pericolo. Se non ce l’ha, poi va assolto perché non si può più valutare la proporzione della reazione)).

Il sistema dunque non sembra né lassista né draconiano. In generale si obbliga chi riceve un’offesa a rispondere con proporzione. Nel caso dei furti in appartamento o simili, si aumenta la possibilità di difesa stabilendo che essa è giusta anche se vi è pericolo di aggressione, o supposto pericolo, dunque anche se l’aggressione fisica vera e propria non c’è stata.

È un plausibile equilibrio tra valori tutti costituzionali e degni di tutela. Tanto che la stessa regola è presente in codici stranieri e anche del passato (come il codice dell’Italia pre-fascista o addirittura di alcuni Stati pre-unitari)((Cfr. MANTOVANI, Diritto penale, parte generale V ed, p. 256)).

Spiegate le regole appare chiaro che non sono esse il problema: la legittima difesa è già ai massimi consenti e non può essere ulteriormente aumentata senza dare ai singoli il diritto di vita o di morte su chi gli passa davanti. La nuova proposta della Lega Nord appena presentata in parlamento, inoltre, appare un’inutile ripetizione perché ripete con parola diverse ciò che è già previsto((La proposta vorrebbe autorizzare qualunque reazione che impedisca l’ingresso in abitazione di persone che agiscono “con violenza o minaccia di uso di armi da parte di persona travisata o di più persone riunite”. Al netto dell’italiano approssimativo, è chiaro che già oggi è così.)).

Quindi da cosa viene questa sensazione di pericolo diffuso, di assedio imprevedibile, di insicurezza permenente? Percepiamo là fuori, nel buio, un pericolo vagante pronto a piombare su uno di noi – a caso – e questa incertezza ci fa sentire vulnerabili e indifesi. Ma questa sensazione è razionale o è frutto un subdolo piano per spargere insicurezza a fini elettorali?

Certi partiti, e certi organi di informazione affermano che la criminalità è in diminuzione ma senza mai portare dati a supporto. Perché essi, purtroppo, dimostrano che in Italia, e in parte d’Europa, c’è davvero un problema di sicurezza. La tabella che segue, elaborata dall’ISTAT, compara i dati dei furti in abitazione (senza tenere conto di quelli in altri edifici, quali le attività commerciali) nel 2014 a livello europeo (ultimi dati disponibili), in proporzione alla popolazione.

TABELLA 11

tasso furti abitazione europa

Da essa emerge che l’Italia è 6° tra 26 paesi presi in considerazione con circa 420 furti ogni 100mila abitanti. Non è un bel risultato soprattutto se valutato alla luce del genere di paesi che abbiamo davanti in questa triste classifica: il Belgio, i Paesi Bassi e la Svezia sono nazioni di media dimensione con 11, 17 e 10 milioni di abitanti. La Danimarca ha 5,5 milioni di abitanti (come la Campania), il Lussemburgo 500mila (come la Basilicata): in piccole comunità, bastano pochissimi casi in numeri assoluti per far schizzare in alto quelli relativi. Noi, invece, siamo il primo dei grandi Paesi, tallonati dalla Francia, dalla Spagna e dal Regno Unito (che non appare per un difetto di coordinamento dell’Eurostat ma il cui dato è ricavabile dai siti ufficiali delle istituzioni britanniche). Seguono poi il blocco occidentale dell’Unione (ad eccezione dell’Ungheria) e, nella parte migliore della classifica le nazioni ex-comuniste (tra le quali si inserisce la tranquilla Finlandia).

Da segnalare il dato della Germania, un Paese ben più grande dell’Italia e che per ricchezza dovrebbe teoricamente essere più “appetibile” a ladri e svaligiatori che ha un tasso di furti che è la metà del nostro.

L’interpretazione di questi dati non è facile: il primo elemento che balza agli occhi è la divisione netta tra un est molto disciplinato e sicuro, ed un occidente con un numero di furti costantemente alto negli ultimi anni. Ciò dimostra che esiste un problema europeo prima ancora che italiano: sembra confermata quella voce diffusa tra i cittadini che via sia una forma di importazione di criminalità da est a ovest. Probabilmente attratta dalla maggiore ricchezza di questa parte d’Europa. Sarebbe necessario però anche verificare con una seria indagine se e come i sistemi repressivi dell’est siano più deterrenti.

In secondo luogo devono essere evidenziati i modelli positivi di Germania e Finlandia. Sarebbe bene studiarli per capire se sia un fatto accidentale che, nonostante la solida ricchezza di queste zone, l’impatto dei furti in appartamento sia relativamente basso, o se lì siano state fatte scelte che qui possano essere prese ad esempio.

Attività di studio che dovrebbero essere ovviamente svolte da Governo o Parlamento. Affinché non siano date per buone soluzioni facili ma che, al contrario, certi sintomi siano indagati per capire se nascondo una malattia, e quale.

Restringendo l’analisi all’Italia i numeri che riguardano il nostro Paese mostrano un sostanziale peggioramento della situazione riguardo ai reati contro il patrimonio. Dalla prossima tabella emerge che dal 2004 le rapine e gli scippi sono in lieve diminuzione (in verde e blu) e furti di autoveicoli sono felicemente quasi dimezzati (forse per l’uso diffuso di sistemi GPS e antifurto). Ma i furti in edifici (comprensivi sia di quelli in abitazione sia in attività commerciali) sono invece raddoppiati.((Rapporto Istat del 2016 p. 109 e ss. https://www.istat.it/it/files/2016/12/BES-2016.pdf))

Furti per tipologia - Italia - 2004-2015

 

In particolare riguardo i furti in edifici (appartamento + attività commerciali) si è passati dai 242 mila del 2006 ai 336 mila al 31 dicembre 2015. Rimasti sostanzialmente stabili, tra i 90 e i mila l’anno i furti nelle attività commerciali; ciò che ha inciso è proprio l’aumento dei furti negli appartamenti il cui aumento è quindi ben rappresentato dalla linea rosa. L’Istat non ha ancora reso noti i dati 2016

Emerge inoltre che la sensazione diffusa che i furti in appartamento si concentrino al nord è veritiera. L’Istat ha calcolato che nel 2014 (ultima ripartizione disponibile), al nord ci sono stati 22 furti in abitazione ogni 1000 famiglie, al centro 16,6 e al sud “solo” 12,1.
E se si osserva la progressione nel tempo il divario è ancora più impressionante.
Mentre fino al 2004 vi era una ripartizione quasi omogenea (sud 7, centro 8, nord 9,5 furti in abitazione ogni 1000 famiglie) l’incidenza di questo reato al nord va sempre aumentando fino a giungere oggi, 13 anni dopo, a circa 22 punti al nord, aumentando del 250%, al 16 al centro, raddoppiando, e 12 al sud che è comunque aumentato del 70% . Con punte di 31 in Emilia-Romagna, 23 in Lombardia e 22 in Piemonte.

Questo dato sembra una ulteriore conferma dell’idea che vi sia un’importazione, addirittura un pendolarismo di criminalità di precisa provenienza geografica che prende di mira quel triangolo di ricchezza che va dalla Svezia, al Benelux al nord-est Italia.((Mia rielaborazione di dati Istat del 2016 p. 116 https://www.istat.it/it/files/2016/12/BES-2016.pdf))

furti in appartamento Italia - ripartizione territoriale - nord -centro-sud

Dunque non ci si può stupire che nel settentrione del Paese si percepisca un aumento dei crimini e una crescente situazione di insicurezza. Perché è la zona dove effettivamente l’aumento è stato drammaticamente maggiore.

Al sud invece sono più numerose le rapine, 1,9 ogni 100mila abitanti, contro 1,4 del centro e 1,3 del nord.

In conclusione, i dati dimostrano che la paura in certe zone d’Italia per i furti in edifici privati, spesso commessi con modalità aggressive e violente, non è affatto irragionevole. E per una volta i vari giornali non hanno affatto gonfiato singoli isolati casi per morbosità o motivi elettoralistici. Così come, molto probabilmente è fondata la vox populi che la nostra parte d’Europa sia bersaglio di cittadini dell’est: basta frequentare una procura, un tribunale, per rendersene concretamente conto. Per vedere avverarsi i freddi numeri riportati dalle statistiche.

Davanti a queste cifre non si può, a nostro avviso, fare finta di niente, dire che va tutto bene, ed è colpa dell’isterismo dei cittadini se si percepisce un allarme ed una necessità di reazione. Perché se non si controlla un fenomeno così destabilizzante per la sensazione di sicurezza individuale, si mette a rischio il senso stesso dello Stato, che è garanzia di incolumità, e il processo di integrazione Europa. Con il rischio che qualcuno chieda il rispristino delle frontiere il cui abbattimento è stato un progresso indiscutibile. E anche per tutelare i tanti immigrati regolari, che non devono essere risucchiati in un calderone al quale non appartengono.

Evidentemente se ne è accorto anche il Parlamento e la sua maggioranza dato che è attualmente in discussione l’aumento delle pene proprio per il furto in abitazione. Il testo ora in esame prevede molte e diverse modifiche al sistema penale: tra queste la pena minima per il furto in edificio passa da uno a tre anni. Quella massima rimane a 6 anni. E se c’è un aggravante (come lo scasso, l’uso delle armi, il fingersi pubblico ufficiale etc…) la pena minima passa da tre a quattro, mentre quella massima resta a dieci. In più l’aggravante non potrà più essere annullata da una eventuale attenuante, come ancora oggi avviene.

Queste norme sono contenute in una riforma più ampia del codice penale proposte alla Camera. Il Senato però, lo scorso 15 marzo, ha modificato altre parti della complessa riforma e quindi il testo dovrà tornare al primo ramo del Parlamento.

Se approvata, questa riforma dovrebbe eliminare (o almeno diminuire) la possibilità di ottenere pene irrisorie sfruttando i meccanismi processuali di abbattimento della pena: tra attenuanti (anche generiche), rito abbreviato, e norme sull’esecuzione della pena, la permanenza in carcere è sempre imprevedibile. Dunque ben venga questa innovazione ma non si può sperare che due anni in più di pena minima possa essere risolutivo. A fronte delle centinaia di migliaia di furti commessi le persone presenti in carcere nel 2015 erano solo 11700. Segno oltre ad un problema di insufficienza di pena vi è anche una grande difficoltà di individuazione dei colpevoli.

Per contrastare la criminalità estera è necessario innanzi tutto il rafforzamento della cooperazione tra Stati (come il definitivo avvio di un casellario penale comune europeo, un più efficace controllo delle autovetture, la creazione di strutture in grado di comunicare con una lingua comune).

A livello nazionale è necessario un serio lavoro di prevenzione tramite il controllo del territorio, che non è facile, ma comunque è possibile soprattutto con un più razionale utilizzo delle forze dell’ordine. Il ministero dell’interno ha già sperimentato almeno un modello di studio per individuare le zone più a rischio all’interno delle città: un progetto pilota, insieme al Centro interuniversitario Transcrime, ha riguardato Milano, Roma e Bari. Ha dato risultati apprezzabili, dimostrando che, in percentuali variabili si possono prevedere le zone più a rischio e lì intensificare il pattugliamento.

Questi studi, che offrono conoscenza utile, devono essere finanziati e potenziati, elaborando tutti i dati disponibili e cercandone di nuovi. Questo vuol dire “governare”, gestire quotidianamente la macchina dello Stato, e non pensare di poter rassicurare gli elettori offrendo loro slides o – peggio – riforme costituzionali. Se una riforma sistemica deve essere fatta è semmai quella del codice penale che, vittima di innumerevoli stratificazioni legislative è un sistema oggi scoordinato che invece dovrebbe essere interamente rivisto per ottenere un sistema effettivo, rapido e quindi realmente deterrente. Ma di questo parleremo in un futuro articolo.

 

  1. Rapporto Istat del 2016 p. 105 e ss. https://www.istat.it/it/files/2016/12/BES-2016.pdf.Tutti i valori di ogni tabella quando riferiti “in proporzione alla popolazione” esprimono il rapporto del numero di furti ogni 100,000 abitanti []