di Marco Ottanelli
La cattura, il 15 gennaio, del superlatitante mafioso ha sollevato una tempesta di dichiarazioni, quasi tutte polarizzate su due estremi: le une, le supertrionfaliste, celebravano il risultato storico di una perfetta coordinazione di mezzi e di intenti da parte del “sistema Italia”, di una poderosa macchina da guerra antimafiosa della legalità, della giustizia, della libertà!
Le seconde, le ipercomplottiste, spargevano dubbi e scetticismo a piene mani, vedendo in questa tardiva cattura un trappolone mediatico-propagandista, un trucco, una messinscena quasi che nasconde o a sua volta produce trame misteriose e scenari oscuri.
A loro volta le due posizioni si suddividono in due sottocategorie:
la trionfalista A è quella istituzionalissima, la “presidenziale”, quella che loda le Istituzioni, quella che omaggia la clarissima parte sana del paese, quella dei politici, dei magistrati, dei componenti delle forze dell’ordine, che nel loro coadiuvarsi limpido e solenne, assicurano la vittoria dello Stato e dei suoi apparati sul Male.
La trionfalista B è quella governativo-partitica, quella che attribuisce il merito del colpaccio al governo in carica, al vento che è cambiato, alla propulsiva energia infusa dal nuovo corso politico, o al ruolo di questo o quel partito (ci si infila anche qualche forza di opposizione) che rivendica a sé la linea della fermezza, del giusto, del Bene.
Sul fronte opposto, i due sottoinsiemi sono i seguenti:
il trattativista, cioè quello ove convergono tutti coloro che pensano che quello di Messina Denaro non è stato un arresto, ma l’ultima messa in scena di un accordo sporco, sporchissimo, tra la mafia e lo Stato, sporco sporchissimo pur’esso, che, per gettar fumo negli occhi al cittadino, trama, ordisce e tesse patti con boss e picciotti concedendo loro chissà cosa, chissà quanto in cambio di un – evidentemente – sopportabile sacrificio di uno di essi (vittima o regista della trattativa? Qua il dibattito diverge ancora).
L’altro è il poverocristista, quello che segue il ragionamento per cui M. M. Denaro, ormai vecchio, malato, braccato, stanco, in un certo qual senso innocuo, ha preferito, dopo però essersi come svuotato di ogni portato prezioso per le indagini, consegnarsi, poverocristo, nelle mani dello Stato, Stato che a lui, inutile orpello coreografico, assicura quanto meno di morire in un letto invece che, magari, ammazzato da un rivale, da un aspirante successore, o dalla malattia in condizioni degradanti. In questo modo invece il Denaro si è posto al livello degli irriducibili d’acciaio Riina e Provenzano, e col suo immolarsi comodo si fa eroe e dimostra il suo omertosissimo onor del carcere a Cosa Nostra tutta.
Collateralmente, si è aperto il dibattito tra Insabbiazzonisti e Pentitisi, (i cui esponenti e commentatori si son sparpagliati come elementi critici negli schieramenti di cui sopra), cioè quelli che dicono che l’arresto del capo mafioso servirà a mettere a tacere chiunque volesse scoprire scomode verità, e quelli che dicono che invece ora Denaro può/vuole/deve parlare, pentirsi, e dire tutto quello che sa, perché, a sentir qualche giornalista di quelli specializzatissimi su mafia&misteri, Denaro sa tutto.
Cosa ne pensiamo noi
In ogni congettura, soprattutto quando assume la forma mitologica come sempre accade quando si parla di mafia-Stato, sta [quasi] sempre un po’ di verità. Ma la nostra posizione, posizione che ci sentiamo si assumere anche sulla base delle nostre esperienze passate a diretto contatto con il cosiddetto mondo dell’Antimafia1 è più pacata, più laica, forse più noiosa; magari un po’ cinica.
Quel che pensiamo è che le latitanze, prima o poi, finiscono. Tutte. E quelle dei Grandi Latitanti, che hanno un sistema di copertura formidabile, finiscono sovente quando essi sono in declino, anche fisico. Non c’è nulla di nuovo né di sospetto. Non scorgiamo una trattativa-bis sullo sfondo di quanto successo (anzi, pure sulla trattativa-semel siamo abbastanza freddini; diciamo che condividiamo il pensiero del prof. Lupo e del prof. Fiandaca), ci vediamo solo la conclusione di una lunga e doviziosa indagine, una operazione non certo ad orologeria, una colta del frutto quando esso è maturo. Niente patti di ferro o di sangue, ma pedinamenti, intercettazioni, scartoffie, attese. Non ci vediamo neppure un ricatto, una capacità di ricatto perché, facciamolo ben presente, Matteo Messina Denaro non è il “capo dei capi”, Cosa Nostra non è più l’organizzazione verticista degli anni ’80-’90, la “cupola” non esiste più nei termini in cui lo era ai tempi dei Corleonesi: essa è parcellizzata e … democratica, e il peso specifico di ogni suo componente, per quanto importante, non è così alto. Ergo ha poco per ricattare e meno ancora per trattare.
Quel che pensiamo è che magistratura e forze dell’ordine hanno fatto un buon lavoro, e che lo fanno, o cercano di farlo, o dovrebbero farlo, con qualunque ministro in carica, qualsiasi governo al potere, ogni maggioranza parlamentare che ci sia. Tutti coloro che si vantano o che criticamente insinuano un ruolo della politica negli arresti, commettono un errore – diciamo – di sostanza costituzionale. E questo errore lo hanno commesso tutti, di ogni tendenza e schieramento, sia chiaro! Ma i fatti sono semplici e lineari: non è il governo che indaga e arresta, ma gli inquirenti preposti, polizia, carabinieri e quei PM, quei Pubblici Ministeri, ai quali la politica, di ogni tendenza e schieramento, ha sempre tentato di fare lo sgambetto, se non la guerra. Ma è anche vero che la politica, il governo, i ministri, le maggioranze parlamentari, possono agire e attivamente agiscono, con pensieri parole opere e omissioni, sulla capacità e la serenità e la efficacia, e sui mezzi a disposizione, di magistratura e polizie. Possono stanziare o negare fondi, adire o non adire il CSM, incoraggiare pm e giudici o additarli come bubboni da estirpare. Ripassate mentalmente le dichiarazioni dei principali protagonisti della scena politica degli ultimi 15 anni, e contate quante dichiarazioni contro la mafia hanno fatto, e quante contro i magistrati; ne sorte un bilancio interessante.
Oltretutto riconosciamo, sappiamo, e da anni (in articoli, dibattiti, conferenze) sosteniamo che la forma criminale mafiosa differisce da quelle di altre organizzazioni criminali perché è come la forma dell’acqua, prende cioè la forma di ciò che la contiene. Ed il contenitore delle mafie è il potere politico, con cui esse interagiscono, che esse pervadono, sfruttano e che da esse sono a loro volta usate, utilizzate, a volte pure gestite. Senza la forma della politica, così come l’acqua senza un vaso, la mafia si spanderebbe a terra, fino a prosciugarsi. Quindi rifiutiamo cervellotici teoremi complottisti, ma allo stesso modo rigettiamo le dichiarazioni da verginelle candide di tutti gli esponenti di tutti i partiti che hanno proclamato la purezza ed il rigore delle loro azioni e delle loro normative, oscurando la realtà delle decine- centinaia- di loro colleghi coinvolti nelle indagini, processati e condannati per appartenenza o collateralità con Cosa Nostra (per stare solo in Sicilia), come se non fosse emerso processualmente e storicamente provata la sudicia commistione tra boss e politica, dai tempi della strage di Portella della Ginestra in poi. Potremmo fare anche qualche nome, ma l’elenco è così lungo, e la memoria collettiva così corta…
Quel che pensiamo è che la cattura di una delle principali “primule rosse” d’Europa sia un grande risultato, da non sminuire nè sottovalutare, di cui essere tutti, come italiani e come cittadini onesti, orgogliosi. È un passo importante nel lungo cammino della eradicazione di Cosa Nostra, e ne dobbiamo essere contenti. Ma al tempo stesso non possiamo essere soddisfatti della incredibile lunghezza di queste superlatitanze, della loro durata in termini di decenni, quando tutti sanno che i ricercati si muovono in un territorio in fondo limitato, tra Palermo e provincia, con sconfinamenti nelle zone circostanti del trapanese o dell’agrigentino, al più. Con i mezzi moderni a disposizione, è difficile davvero tollerare la invisibilità anche di una singola persona, per un periodo così lungo. No, non è quindi un trionfo, nemmeno delle forze dell’ordine, nemmeno della magistratura, la quale dovrebbe anche farsi un po’ di esami di coscienza sui veleni, le rivalità, i corvi, le correnti, le accuse interne e le posizioni teoretico-ideologiche contrapposte che, in Sicilia assai più che altrove, l’hanno lacerata. Anche qua, nomi e situazioni si contano a dozzine.
In quanto al capitolo “pentitismo e rivelazioni folgoranti”, pensiamo che non vi sia alcun apparente motivo per cui Denaro dovrebbe comportarsi diversamente da Riina, Provenzano, Greco e tanti altri. Non crediamo in un nuovo Buscetta. Certo, Denaro ha “solo” 60 anni, ha tanta galera davanti per riflettere e mai dire mai; ma è anche molto malato e ha il suo (perverso) senso dell’onore da preservare. Non crediamo che qualcuno stia tremando particolarmente, in questo momento, nelle segrete stanze.
In definitiva, noi vediamo in quanto accaduto tutti i pregi e tutti i difetti della situazione italiana, e forse tutti i pregi e i difetti della condizione umana. A tal proposito, citiamo (e le citazioni le centelliniamo con prudenza estrema) Giovanni Falcone, che sosteneva, smontando con un sorriso beffardo e triste le mitologie su mafia (e conseguentemente anche sull’anti-mafia: lui non si considerò mai un super eroe), che la mafia è cosa umana, e come tutte le cose umane, ha un suo inizio e una sua fine. Finirà, dunque. Sta allo Stato, ai suoi apparati, e in parte anche a noi tutti, lavorare per il come ed il quando. E naturalmente né lo Stato, né gli apparati, né tutti noi siamo esenti da errori, difetti, e valutazioni sbagliate. Vorremmo che in questa circostanza, se possibile, ci si tenesse tutti un po’ più a livello terreno, senza arrischiarci in voli pindarici di mostri ed eroi, che non fanno altro che allontanare dalla realtà la percezione di un fenomeno già di per sé piuttosto complesso da percepire nel suo insieme ma in fondo così facile da colpire. Volendolo.
- che, partito dalla nobile figura di Antonino Caponnetto si è poi affollato di gente che saliva sul carro, e alla fine, scomparso Caponnetto, e allontanatisi tanti altri, è rimasto un po’ carrozzone [↩]