di Gabriele Pazzaglia
Come ha rivelato il periodico L’Espresso, nella prima metà di maggio, il Presidente del Consiglio Berlusconi, il Ministro della Giustizia Alfano, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta e i presidenti della commissione giustizia di Camera e Senato hanno cenato con due giudici costituzionali, Paolo Maria Napolitano e Luigi Mazzella, a casa di quest’ultimo. Un incontro come questo, di per sé, è quantomeno singolare, visto che la Corte costituzionale dove controllare che le leggi fatte dalla maggioranza che sostiene Berlusconi siano conformi alla Costituzione. Se a questo aggiungiamo il fatto che i parlamenti delle ultime legislature hanno sfornato leggi ad personam, tra le quali il famigerata legge 124/2008 (cd. Lodo Alfano, che consente la sospensione dei processi al Presidente della Repubblica, del Consiglio, della Camera e del Senato), il Presidente del Consiglio non è più solo una parte istituzionale, ma è un soggetto interessato all’attività della Corte anche come privato cittadino visto che, l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità del Lodo stesso comporterebbe un riavvio del processo Mills che vede Berlusconi come imputato di corruzione.
Dopo che la cena è stata resa pubblica, l’unico politico che ha chiesto le dimissioni dei due giudici Costituzionali è stato Antonio di Pietro. Esponenti del PD hanno chiesto ai giudici di astenersi nel giudizio sulla legge che sospende i processi. Quanto il PD creda in quel che dice è tutto da dimostrare, visto che, nel giugno 2008, quando il Lodo Alfano è stato approvato, esponenti del partito chiedevano addirittura che quelle norme fossero inserite nella Costituzione in modo da non essere più una legge suscettibile di abrogazione, ma elevandola a norma costituzionale l’avrebbero portata da oggetto a parametro di giudizio. Probabilmente il PDL avrebbe intrapreso questa seconda strada se non fosse che il processo Mills sarebbe ripartito a settembre 2008 e, arrivati a giugno dello stesso anno gli avvocati di Berlusconi si sono resi conto che non c’era il tempo tecnico per una riforma Costituzionale (che per il più complicato procedimento necessita come minimo di 8/9 mesi).
Una cena, dunque, con due giudici costituzionali: Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano. Entrambi sono stati eletti alla Corte dal Parlamento. Il primo ha un lungo curriculum di incarichi politici tra i quali spicca l’essere stato Ministro della Funzione pubblica del secondo Governo Berlusconi. Il secondo risulta essere stato componente del gabinetto di Fini (quando quest’ultimo era Vice Presidente del Consiglio), per poi essere nominato dal Governo Berlusconi stesso componente del Consiglio di Stato, il massimo organo di giustizia amministrativa.
Ora, se le cose stanno così, se questi sono i rapporti intercorrenti tra Berlusconi e i due giudici, è così scandalosa una cena insieme? “Scandaloso” è che siano stati eletti alla Corte costituzionale, a controllare, cioè, che la legge sia conforme alla Costituzione, due persone che hanno tali rapporti con chi la legge la fa e la farà. Infatti, quando Berlusconi dice che in quella cena non hanno parlato del Lodo Alfano, paradossalmente forse dice la verità, forse ne hanno parlato in altre occasioni e magari come un mero scambio di conferme visto che è logico pensare che il Presidente del Consiglio non debba neanche fare un’opera di convincimento verso due giudici come loro: Mazzella era ministro proprio mentre, nel giugno del 2003, veniva approvato il Lodo Schifani, quella legge cioè, che bloccava i processi alle “alte cariche”, in seguito dichiarata incostituzionale e della quale il Lodo Alfano è sostanzialmente una fotocopia.
Paolo Maria Napolitano, invece, si è fatto notare per la sua attività nella Corte Costituzionale per aver rifiutato di redigere la sentenza 135/2008 della quale era relatore. Che cosa successe: l’on Iannuzzi (Forza Italia) era stato querelato dalla vedova e dal figlio di Domenico Geraci, un sindacalista ucciso dalla mafia in quanto avevano considerato diffamante un articolo uscito su Panorama nel 2002 quando, cioè, Iannuzzi era senatore. Ed il Senato oppose (art. 68 Costit.) l’insindacabilità delle opinioni contenute in quell’articolo (Geraci veniva indicato come colui che “avrebbe fatto da tramite tra la mafia ed ambienti di sinistra”) in quanto ritenute espressione della funzione parlamentare. La vedova e il figlio del sindacalista hanno fatto ricorso alla Corte costituzionale, la quale ha annullato la delibera del Senato poichè (come da giurisprudenza consolidata) non ha riscontrato quel nesso funzionale tra l’attività di parlamentare e le opinioni espresse che deve sussistere affinché l’insindacabilità sia estendibile alle dichiarazioni rese fuori dall’aula parlamentare. Chi relaziona in udienza solitamente redige anche la sentenza a meno che in Camera di Consiglio non emerga una volontà antitetica rispetto alla sua. In questo caso il relatore può rifiutarsi di redigere fisicamente la sentenza. E così è successo nella sentenza nella quale si legge “il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano, sostituito per la redazione della sentenza dal Presidente Franco Bile”, segno che Napolitano era per non annullare la delibera del Senato permettendo così a Iannuzzi di sottrarsi al giudizio della magistratura.
Andando oltre l’istintiva sorpresa per una cena tra soggetti istituzionali i cui rapporti sono così delicati, pensandoci bene c’è dell’altro: persone con questi rapporti politici non dovrebbero nemmeno essere eletti ad un incarico come quello della Corte costituzionale, visto che questa è (o forse dovrebbe essere) chiamata a frenare, a rivedere ed correggere l’attività di quel Parlamento che sostiene il Presidente del Consiglio, quando questi mettono in discussione i diritti sanciti dalla Costituzione.
6 luglio 2009