di Marco Ottanelli
Si apprende il 27 marzo 2012, che Alfano, Bersani e Casini si sono messi d’accordo per riformare la Costituzione. Un sacco di cambiamenti, parecchi veri stravolgimenti della democrazia repubblicana. A proposito delle possibilità di cambiare la Costituzione scrisse, nel 1995, il compianto Paolo Barile, professore ed insigne costituzionalista che ebbi il piacere di conoscere, allievo e collaboratore di Pietro Calamandrei: “è la frattura rivoluzionaria che distrugge e separa il vecchio dal nuovo…[quando ciò accade] qualunque atto o fatto normativo può far nascere una assemblea costituente. Nel 1944 bastò un decreto luogotenenziale: ma la situazione era rivoluzionaria. Oggi non basterebbe, a mio fermo parere, neppure una legge costituzionale”
Il parere di Barile quindi era fermo: non si crea, non si modifica una Costituzione, un apparato costituzionalmente equilibrato, se non ci si trova in una situazione rivoluzionaria, nella quale lo Stato così come lo si è conosciuto, nelle sue forme e nei suoi valori fondanti, non sia stato distrutto. In altre parole, la Costituzione non si tocca.
Ma in Italia, da molti anni a questa parte, ogni tanto salta su un nuovo Deus da qualche machina che è stata approntata a bella posta. Personaggi che non hanno né l’incarico né la levatura culturale, morale, rappresentativa per ergersi a Padri Costituenti, improvvisamente gonfiano il petto, salgono su una seggiolina, aprono la bocca con espressione solenne e vomitano la loro ricetta salvifica e universale. Nel 2006, parlarono e vaticinarono i Saggi di Lorenzago, gente di Lega e Forza Italia. Nel tramonto del 2007, dopo aver dovuto digerire tutte le sciocchezze ed i pasticci di tanti altri, un certo Veltroni ci propinò i suoi progetti di riforma, così, solo perché era stato nominato segretario di un partito che – all’epoca- non era neanche in Parlamento.
All’alba del 2008, ci tocca sopportare persino le fantasie di Franceschini, che come titolo per Padre Costituente aveva quello di vice di Veltroni.
Dal punto di vista del valore costituente, un nulla vice di un nulla.
Poi parlò, a lungo, Silvio Berlusconi.
Oggi tocca ai segretari di PD, UDC, e PDL, riunitosi non si sa per incarico di chi, con la delega di chi, con il mandato di chi. Un altro nulla che si riunisce con il nulla. Al quale nulla si sono affiancati, nel ruolo di tecnici, esperti del calibro di Violante, Adornato, Bocchino, Quagliariello, Pisicchio e La Russa. Uomini dal curriculum politico fantascientifico.
Come se non bastasse, l’idea di questo nulla di nulla è una idea sovversiva, come tutte le altre buttate lì sul tavolo verde della roulette delle riforme da questo parlamento pigrissimo quando c’è da risolvere i problemi oggettivi del Paese e che diventa invece smanioso, orgasmicamente, freneticamente attivo quando si tratta di ingegneria istituzionale; sovversiva perché contro il volere del Popolo detentore della sovranità (articolo 1), che si è espresso con chiarezza nel referendum costituzionale del 2006, quel referendum con il quale noi, il Popolo Sovrano, abbiamo detto NO alle proposte presidenzialiste e verticistiche del progetto Berlusconi-Bossi-Fini. Abbiamo respinto a grande maggioranza tali ipotesi. Abbiamo detto NO ai folli e sovversivi progetti di riforma; abbiamo espresso la nostra volontà, volontà inappellabile, per dire in poche parole, “la Costituzione non si tocca”.
Insomma, ci viene proposto l’ennesimo specchietto per le allodole, l’ennesima illusoria panacea di ogni male, l’ennesimo tentativo di cambiare tutto affinché tutto resti immobile. E si usa ancora la Costituzione come capro espiatorio di un vuoto di pensiero diffuso, come velo per mascherare l’incapacità di compiere scelte che coinvolgano le future generazioni, i prossimi 20 o 30 anni. Si parla e si agisce come se l’inefficienza della pubblica amministrazione e delle sue spese, i tempi biblici della giustizia, la corruzione diffusa e tutti gli altri consolidati problemi fossero causati dalla Costituzione da quel documento che, invece, è lo strumento che tiene insieme il nostro popolo, con i suoi valori e le sue diversità. Quello strumento non è la causa dei nostri mali. Semmai, se ben usato, può esserne la soluzione: il meccanismo democratico, quello scelto dai Padri Costituenti, prevede un Parlamento che, unico organo direttamente eletto, diventi il depositario delle istanze sociali del Popolo. Sta poi alla capacità degli eletti di trovare un accordo che permetta venirsi incontro reciprocamente evitando, come spesso accade in sistemi presidenziali, che chi vince prende tutto e chi perde non prende niente.
Il “trucco” per far funzionare il sistema è che vengano elette persone oneste e capaci. Se non si raggiunge questo minimo presupposto possiamo inventarci qualunque chimera ma sarà lavoro sprecato. E invece gli stessi piccoli uomini che, rimanendo ben incollati alle solite poltrone, hanno sbagliato tutto negli ultimi 20 anni, dopo il vorticoso cambio dei nomi dei loro partiti, oggi vorrebbero concludere il restyling risolvendo l’ennesimo finto problema.
Servirebbero uomini migliori, ma la situazione è questa: Calamandrei è morto, Barile è morto, il buon senso e la dignità sono morti, gli interessi avidi di potere sono vivi e vegeti.
Ps: il nostro giudizio è negativo rispetto anche alla previsione di riforma elettorale. Non solo ripropone, sostanzialmente, l’ipotesi del “referendum Guzzetta”, referendum già respinto anch’esso dal popolo sovrano, ma introduce anche la populistica carrettella, ormai condivisa da tutti i politici (e solo questo fatto dovrebbe far scattare nei cittadini più di un allarme!) della riduzione dei parlamentari. A parte che questo sistema altro non è che una maggiore concentrazione del potere nelle mani di pochi, e equivale ad innalzare lo sbarramento di numerosi altri punti percentuali (permettendo la rappresentanza solo ai partiti maggiori), a parte questo, la riduzione dei parlamentari non ha alcun senso né dal punto di vista storico, né da quello costituzionale, né da quello della evoluzione democratica, come spiegato puntualmente in questo articolo.