50 anni fa il referendum sul divorzio

di Marco Ottanelli

Il 12 maggio 1974 gli italiani votavano NO all’abolizione della legge sul divorzio. Nel 50° anniversario di tale importante avvenimento, vi ri-proponiamo un nostro scritto su quel referendum e sulla sua genesi, scritto estrapolato da un più completo articolo sulle consultazioni referendarie radicali. Buona lettura!

La mistica e la liturgia radicale e pannelliana non omettono mai di celebrare l’introduzione del divorzio in Italia tramite il referendum, il primo referendum della storia italiana, celebrato nel 1974, e di definirlo come un referendum radicale, appunto. Nella vulgata la consultazione ha portato al diritto civile di sciogliere il matrimonio. Persino sul sito ufficiale del partito si continua a propugnare questa tesi:

Referendum Divorzio - radicali

Come si vede dall’immagine, si definisce quello come il primo dei “referendum proposti dai Radicali”. Poi si legge più in basso, e c’è scritto che si trattava di “abolizione della legge ottenuta dai Radicali”. Come è possibile? A questa contraddizione però c’è una spiegazione, che ha contribuito, a ragione, a creare la leggenda radicale. NO: il divorzio non lo ha introdotto questo referendum, anzi, esso era volto a cancellarlo. In quella combattutissima, esasperata, campagna referendaria, i Radicali ebbero certo un peso, ed un peso importante, ma la loro battaglia fu in favore del mantenimento di una legge dello Stato esistente da quattro anni. Ma andiamo per gradi.

L’indissolubilità del matrimonio non era stata stata introdotta in Costituzione per un soffio: la battaglia in tal senso dei democristiani, che volevano con questo suggellare il Concordato, e la ambiguità del PCI togliattiano avevano portato al voto la Costituente proprio sulla questione. Solo la appassionata opposizione dei laici, azionisti in testa, e un provvidenziale voto segreto, avevano bocciato la proposta clericale, per solo tre voti di scarto. Quindi l’Italia si trovava ad essere un paese dove il divorzio non era incostituzionale, ma non era permesso dalla legge. L’indissolubilità c’era, di fatto.

L’aspirazione ad introdurre nel nostro ordinamento il divorzio inizia molto presto, nell’immediato dopo-guerra, ma i tempi non sono maturi. Si deve giungere al primo centrosinistra, quello fanfaniano, perché il sentimento politico-sociale possa accettare perlomeno i primi tentativi: nel 1965 Loris Fortuna, del PSI, presenta alla Camera il primo progetto di legge sul divorzio; sarà poi affiancato da Antonio Baslini, del PLI, e dalla fattiva mobilitazione nella quale si impegna, attraverso la Lid (Lega per l’Istituzione del Divorzio) Marco Pannella.

Nei cinque anni che intercorsero dalla presentazione all’approvazione della legge, su di essa ci fu un susseguirsi incredibile di colpi di scena e di giravolte politiche inimmaginabili comprensive di scissioni del PSI, riunificazioni con il PSDI, scontri e slealtà tra tutte le correnti DC, alternarsi al governo – con fiducie, crisi o tentativi di comporne di nuovi – di Rumor, Moro, Andreotti, Colombo; mediazioni, trucchi, strategie, a volte azzardate accelerazioni ed improvvise retromarce di Fanfani, di Forlani, di deputati e senatori democristiani; note ufficiali del Papa Paolo VI che minacciano ritorsioni ed invocano i Patti Lateranensi; coraggio e timidezza del PCI e delle sue anime conservatrici. Alla fine, la legge Fortuna-Baslini, col voto di PCI, PSI e partiti laici, ed il voto contrario (ma anche in questo caso, come poi succederà con l’aborto, ben calibrato da assenze strategiche) della DC, viene approvata il 1° dicembre 1970, con 319 voti favorevoli e 286 contrari (una trentina in meno di quanti ne avrebbero avuti a disposizione le destre, volendo).

Ciò anche grazie al primo, lunghissimo sciopero della fame di Pannella, sciopero drammatico e pubblico, dato che si svolge davanti palazzo Madama. Rumor Presidente del Consiglio e Fanfani presidente del Senato attuano una mediazione tra le diverse sensibilità del Parlamento: acconsentiranno alla parte laico-social-comunista di far passare il diritto al divorzio, reso abbastanza oneroso da appositi emendamenti, ma contestualmente quelli dovranno acconsentire a far passare la legge attuativa del referendum, che fino a quel 1970 non era stato possibile approvare proprio per l’ostilità del PCI che lo aveva fortemente combattuto fin dal 1946 in Costituente.

Forti di un risultato buono delle destre all’ultima tornata elettorale, i dirigenti democristiani, pur sapendo di offendere il Papa e la Chiesa (che non mancheranno di farlo notare in ogni modo), puntano tutto proprio sull’abrogazione del divorzio tramite referendum, e sperano in una vittoria a furor di popolo, che avrebbe spazzato via la norma peccaminosa. Perché fin dal 1971 alcune associazioni cattoliche, capitanate dal giurista Gabrio Lombardi, decisero di prendere l’iniziativa e raccogliere le firme per abrogare la legge Fortuna-Baslini, immediatamente appoggiati dalle gerarchie vaticane.

Il problema nel problema è che in fondo al cuore nessuno, ma proprio nessuno dei partiti in Italia, voleva effettivamente il referendum, spaventati, anzi, terrorizzati, dall’avvio di quel Golem che avrebbe potuto arrivare chissà dove.

Si prospettava uno scontro laici-cattolici senza precedenti, scontro che nessuno, nei grandi partiti, voleva. Nella prima fase, mentre Pannella ed i Radicali denunciavano come incostituzionale la raccolta delle firme, in quanto effettuata da, o grazie a, prelati, vescovi e cardinali, tra le altre forze politiche comincia a manifestarsi l’esplicita volontà di rivedere, al ribasso, la legge appena approvata, rendendo il divorzio un puro vuoto istituto difficilmente realizzabile per quasi chiunque, evitando così la contesa ed il referendum, anch’esso ridotto a mera ipotesi, mero simulacro.

Anche parte del fronte laico si avvicina all’idea di un compromesso che salvi il nome dello scioglimento del matrimonio, ma ne impedisca di fatto l’esercizio, pur di rimanere in area di governo. Ma trovare un punto di incontro che soddisfi Vaticano, Botteghe Oscure, Piazza del Gesù e socialisti richiede tempo, ed il tempo sta per scadere: per evitare la tornata referendaria, i partiti chiedono a Leone di sciogliere le Camere, e si va a nuove elezioni1. Con il nuovo Parlamento, si manifesta sempre più il disegno anti-riformatore nei suoi dettagli. Si arriva ad un patto tra Andreotti e Nilde Jotti. Enrico Berlinguer, segretario del partito dal 1972, al Comitato Centrale definisce il referendum “dannoso e pericoloso per i valori quali la pace religiosa, l’unità dei lavoratori, le sorti del regime democratico”; Giorgio Amendola, in un’intervista all’Espresso, chiede esplicitamente che sia raggiunto il “compromesso storico con la DC”.

A quel punto, succede qualcosa di impensabile, un vero colpo di scena, un azzardo che ha dell’incredibile: Marco Pannella, la Lega per il Divorzio e parte dei socialisti di area di Fortuna, denunciano patti, trattative, accordi sottobanco e, con l’intento di indurre i grandi partiti della sinistra a fare una scelta di campo chiara, netta, inequivocabile, e volendo salvare la norma vigente così come partorita, decidono di raccogliere le firme per il referendum abrogativo a fianco dei cattolici di Lombardi, Gadda, La Pira e all’MSI, suscitando scandalo, sconcerto, irritazione e ostilità veementi soprattutto da parte dei comunisti. Ma la mossa, sconvolgente e arguta, ribalta i piani politici dell’intero paese. Mentre alcuni cattolici progressisti si pronunciano a favore del divorzio (i cosiddetti “preti operai”, i “dissidenti”, tra i quali quelli dell’Isolotto, a Firenze), e mentre il Cardinale Siri lancia anatemi minacciando l’inferno, scoppia il caos nella DC, che si trova spiazzata da una mossa tanto ardita.

Andreotti prova a manovrare per un ulteriore compromesso, cercando appoggi in Rumor e Moro, ma Fanfani, fino ad allora il più possibilista, prende le redini della battaglia per il SÌ, giocandosi il tutto per tutto, e sperando di diventare, in questo modo, il punto di riferimento di Oltretevere ed impossessarsi dell’intero partito, eliminando l’odiato Giulio e la palude dorotea, anche a costo di rinnegare il suo passato storico (era stato lui, proprio lui, a portare i socialisti al governo, e, con loro, a mettere mano ad importantissime riforme progressiste). A suo fianco, infervoratissimo, Oscar Luigi Scalfaro2.

La raccolta di firme radicali contro la propria creatura ha un effetto di mobilitazione mai visto. Le firme raccolte e convalidate dalla Cassazione, alla fine, saranno un milione ed ottocentomila, un’enormità! Sciogliere le Camere per la seconda volta in meno di due anni è impossibile, e i partiti sono costretti a dividersi nei due schieramenti. L’istituto referendario si attesta nella pratica democratica italiana, ed è questo, forse, il primo e più grande successo di Pannella.

La campagna elettorale vede tentativi di minimizzazione (“per i lavoratori il problema del divorzio non esiste; la famiglia è per il lavoratore italiano qualcosa di serio e di importante da difendere”; Fernando di Giulio, capogruppo comunista alla Camera, Genova, 1974), e minacce di terrore di e disfacimenti sociali (“Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!“; Amintore Fanfani, Caltanissetta, 1974), ma le segreterie prendono infine posizione: PCI, PSI, PDSI, PLI, PRI e Radicali, sostenuti da L’Espresso e da altri ambienti intellettuali, si esprimono per il NO; DC, MSI e Chiesa Cattolica per il SÌ.

Il 12 maggio si vota in un clima di grandissima incertezza. Il dato dell’affluenza, l’87,72%, sarà il più alto mai registrato, mai più raggiunto, per questo genere di consultazioni. Quando si aprono le urne, si contano, contro tutte le previsioni, 13.157.558 SÌ (il 40,74%) e 19.138.300 NO, il 59,62%.

Il voto non è uniforme, ci sono grandi differenze tra nord ovest, nord est, centro e sud; la DC viene tradita dal suo elettorato in particolare nel Triveneto, ma anche nelle grandi città meridionali, mentre le zone rurali, ed alcune regioni meridionali rimangono fedeli allo scudo crociato, ma è il trionfo per l’Italia laica e progressista, per Loris Fortuna ed i suoi compagni, e soprattutto per quei folli strateghi di Pannella ed i Radicali.

Sì, quella battaglia, combattuta su due, tre, forse quattro fronti, è stata la radice della leggenda radicale.
E quel voto laico, libero, libertario, moderno, è stato il punto di svolta dell’evoluzione civile e civica italiana, evoluzione che, oggi lo sappiamo, è però a rischio frenata e riflusso. Sta a tutti noi chiedere ed operare affinché progredisca.


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  1. l’indizione delle elezioni politiche determina l’automatico rinvio di un anno del referendum, come prevede l’art. 34 della legge n. 352 del 1970 []
  2. Nel 1992 sarà proprio Marco Pannella a lanciare la candidatura di Scalfaro alla Presidenza della Repubblica, considerato un garante della centralità del Parlamento []