di Marco Ottanelli
Come abbiamo visto dalle foto pubblicate da tutti i media, nell’ospedale di Nola alcuni pazienti hanno dovuto essere adagiati sul pavimento del pronto soccorso per mancanza di spazi, letti, barelle. La polemica, lo scandalo, l’indignazione sono subito montati, al punto tale che il Presidente della Regione Campania, il piddino De Luca, ha chiesto il licenziamento e persino l’arresto dei responsabili del nosocomio. È intervenuta, con una dura nota, la ministra Lorenzin, difendendo i medici1.
Una cosa è certa: a Nola i posti disponibili erano drammaticamente pochi, rispetto alle necessità. Il punto è questo, e solo questo.
Pur sapendo che pronto soccorso e ospedale non sono la stessa cosa, e che non sono organizzati in modo eguale, ci chiediamo: come siamo giunti a ciò?
Onde rischio di perire in quella giungla, eviteremo di addentrarci nella legislazione nazionale e regionale degli ultimi 30 anni, e ci limiteremo ad analizzare l’ultimo, ulteriore, taglio dei posti letto ospedalieri.
Ci riferiamo al Decreto Ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, intitolato “Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera” emesso proprio dalla Lorenzin, governo Renzi.
È un lungo documento assai complesso, frutto non della sola iniziativa governativa, ma dell’elaborazione, ed approvazione, della conferenza Stato-Regioni, conferenza riunitasi il 5 agosto 2014. Insomma, sul suo contenuto, erano tutti d’accordo, in quel momento. Non De Luca, eletto presidente poco più tardi, e che in seguito contesterà una parte delle regole stabilite.
Cosa contiene, questo Regolamento? Un chiaro e definitivo ridimensionamento, chiamato razionalizzazione, dei posti letto.
Il testo si avvicina al punto critico tramite una introduzione che sottolinea concetti di per sé positivi: la modernità, l’equilibrio tra sanità e territorio, l’attenzione alle cure, gli esempi più avanzati…
“significativi cambiamenti registrati in questi anni in tema di assistenza sanitaria ed in particolare in quella ospedaliera richiedono un sostanziale ammodernamento del Servizio sanitario nazionale … Il riequilibrio dei ruoli tra ospedale e territorio e una più adeguata attenzione alle cure graduate costituiscono oggi gli obiettivi di politica sanitaria verso cui i sistemi sanitari più avanzati si sono indirizzati …”
Dopo molti tecnicismi, però, ecco l’ordine perentorio: si deve tagliare. Le regioni provvedano, e rapidamente:
“ entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ad adottare il provvedimento generale di programmazione di riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri…”
E si fissano i limiti invalicabili. A quanto deve portare, questo taglio?
“ … ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie, adeguando coerentemente le dotazioni organiche dei presidi ospedalieri pubblici ed assumendo come riferimento un tasso di ospedalizzazione pari a 160 per mille abitanti di cui il 25 per cento riferito a ricoveri diurni”
Dato che in Italia, lo sappiamo, la sanità è anche quella privata convenzionata, come si devono tagliare i posti letto, in che misura essi devono essere quelli pubblici ed in che misura quelli convenzionati?
“… La riduzione dei posti letto è a carico dei presidi ospedalieri pubblici per una quota non inferiore al 50 per cento del totale dei posti letto da ridurre ed è conseguita esclusivamente attraverso la soppressione di unità operative complesse (ovvero di interi reparti o piccoli ospedali, ndr)”
Quindi, toccherà al comparto pubblico eliminare alcune strutture per almeno il 50% dei tagli richiesti, e, talvolta, di più.
La giustificazione di tutta l’operazione è esclusivamente economica, si tende a risparmiare, non a curare meglio. Ogni azione e pianificazione deve essere indirizzata al contenimento delle spese entro un budget prestabilito:
“…La conseguente riduzione del tasso di occupazione dei posti letto, della durata della degenza media e del tasso di ospedalizzazione, consentirà che gli attesi incrementi di produttività si possano tradurre in un netto miglioramento del S.S.N. nel suo complesso, nel rispetto delle risorse programmate…”
Non solo meno posti disponibili, ma anche meno ricoveri, meno giorni di degenza, meno ospedalizzazioni. Non è forse questo che provoca le esplosioni periodiche dei Ponto Soccorso?
Il Regolamento ri-precisa accuratamente il quoziente dei posti letto. Chiede poi di trasformare prestazioni “più forti” in altre “più leggere”, in modo da indurre (quasi artificiosamente) una riduzione della necessità stessa delle richieste di ricovero. Ovviamente molto razionale in un mondo ideale, meno pratico nelle incertezze della quotidianità :
“…L’applicazione del percorso sopra definito prevede dati in riduzione rispetto ai parametri relativi ai posti letto esistenti al momento (4,0 p.l. per mille abitanti di cui 0,7 p.l. per le discipline di lungodegenza e riabilitazione post-acuzie) per rendere i medesimi dati coerenti con la riduzione al 3,7. La riduzione del fabbisogno di posti letto deriva sia dal percorso di appropriatezza che prevede una conversione di ricoveri ordinari in day hospital e prestazioni territoriali e la conversione di ricoveri in day hospital in prestazioni territoriali, sia dal calcolo dei posti letti normalizzati nel caso di scarso utilizzo dei posti letti esistenti…”. Tradotto in termini meno tecnici, significa che si indurrà chi prima doveva essere ricoverato (ad esempio per una lunga serie di analisi) ad accontentarsi del day hospital; e chi chi finora poteva usufruire del day hospital viene inviato a ricevere le singole prestazioni (come radiografie, ecografie, etc) mettendosi in lista d’attesa.
Si aggiungono anche parametri tecnici che dovrebbero portare a tagli ulteriori in campi e settori anche delicati, come la chirurgia, la cardiologia, il comparto trasfusionale:
“… Inoltre, l’introduzione di soglie di volume minime comporterà un’ulteriore riduzione di posti letto, in particolare per le strutture complesse delle discipline chirurgiche, che nelle regioni in piano di rientro si aggira sul 25% mentre nelle restanti regioni è di circa il 10%. Per l’area medica la riduzione è minore, ma comunque significativa per la rete Cardiologica. Per quanto concerne le strutture complesse senza posti letto (laboratorio analisi, radiologia, anatomia patologica, centro trasfusionale, direzione sanitaria, farmacia ospedaliera, ecc.) si è identificato, sulla base delle prestazioni attese, nonché della necessità della presenza di tali discipline nei Dea di I livello, un bacino di utenza tra 150.000/300.000 abitanti (una forbice che ci pare alquanto ampia, ndr)”
Insomma, riduzione dei posti letto, delle degenze, delle prestazioni e dei ricoveri; si passa in media da 4 posti letto per ogni mille abitanti, a 3.7. Uno 0,3 che pare poco ma che fatti i dovuti calcoli fanno passare le disponibilità dagli attuali 240 mila a 220 mila circa, con un taglio di 20 mila posti letto. Se poi si calcola che nel totale vanno ricompresi anche i “letti” delle RSA di lunga degenza (in altre parole: gli ospizi), si può capire quanto forte sia la riduzione finale programmata.
Se quindi vogliamo rispondere alla domanda che ci siamo posti inizialmente, cioè perché mai siamo giunti a situazioni sempre più frequenti come quella di Nola, possiamo dire che ciò è dovuto non solo alla cattiva gestione di singoli ed isolati casi sparsi per la Penisola, ma ad una seria costante di tagli lineari, ultimo dei quali quello del 2014-2015, che eliminano posti letto, possibilità di ricovero tanto in periodo straordinario quanto ordinario, ed interi ospedali. Ancora una volta la Politica si è accanita su capri espiatori, quando è essa stessa, nella forma istituzionale del Governo e delle Regioni, ed in quella partitica delle forze che Governo e Regioni reggono, la causa del problema. Risparmiare e razionalizzare è utile e probabilmente necessario, ma una seria politica di spending review e non di tagli brutali sarebbe più efficace e meno traumatica. Ma in Italia si è preferito licenziare uno dopo l’altro i Commissari alla Revisione della Spesa Pubblica (Giarda, Bondi, Canzio, Cottarelli, e il vice Perotti, tutti mandati a casa o indotti a farlo, e nessuno ascoltato, neanche un po’) e sacrificare non gli sprechi, ma le strutture.2.
La polemica Ministero-Campania
Si innesta in questa vicenda una polemica che ha riguardato il Ministero della Salute e il neo presidente campano De Luca. L’energico esponente del PD, non appena eletto, intervenne, con una serie di interviste e dichiarazioni, proprio contro le imposte riduzioni che il Regolamento 2/4/2015 n. 70 prevedeva a carico della Campania: i tagli andavano fatti subito, e da Roma era partito un Commissario Straordinario per stilare dolorosi piani di riduzione e chiusure di ospedali. De Luca, contestando l’operato del suo predecessore Caldoro, chiese invece con fermezza che i piani venissero bloccati, le chiusure evitate, e che l’accordo della Conferenza Stato-Regioni fosse rivisto. Insistette anzi che la sua regione aveva addirittura diritto ad aumentare i posti letto, anche se in tempi e con costi non precisati. In sostanza la Campania sosteneva di essere riuscita a recuperare il mostruoso buco di bilancio sanitario dei decenni passati, e di essere ancora sotto la quota (massima) dei 3,7 letti per mille ab.
Il Ministero, così sollecitato, in una nota dell’8 aprile 2016 intitolata “precisazione per il Presidente De Luca” riconosce a quest’ultimo ciò che aveva negato a Caldoro: che la Campania ha diritto ad aumentare (se vuole: il 3,7 per mille è un limite massimo, non un obbligo) i propri posti letto. Ma di quanto? Non si sa. Su questo – fondamentale – punto si è aperto il classico e triste balletto delle cifre. Di sicuro c’è che la Campania ha 5.850.000 abitanti (ultimi dati istat) e – fatto un facile calcolo – i letti possibili sarebbero 21.645. Ma il Ministero della Salute, nella stessa nota, affermava che “gli ultimi dati registrati da NSIS (il sistema informativo nazionale) evidenziano la presenza di 18.375 posti letto: quindi, qualunque applicazione dei criteri evidenzia ampi spazi di potenziale incremento della dotazione (da 650 a 1000 posti letto)”
Un mese e mezzo dopo, il 21 maggio 2016, un comunicato ufficiale della Regione Campania, celebrando la vittoria, dà invece altre cifre: “Il totale della dotazione di posti letto è di 19.628 unità (3,52 per 1000 abitanti), di cui 16.486 per acuti e 3.142 post-acuzie che portano all’attivazione di nuovi 1.424 posti letto aggiuntivi”
Sono diversi come si vede chiaramente sia il dato di partenza (i posti letto campani attuali sono 18.375 come sostiene Roma o 19.612 come dice Napoli?), sia l’aumento possibile (da 650 a 1000 in più o oltre 1.400?). E sommando queste cifre vengono quindi tre possibili diversi totali-posti letto futuri (19.025, 19375 o 21021, comunque tutti e tre inferiori al limite teorico).
Rimane comunque un certo amaro in bocca, alla fine: le evidenti manchevolezze della sanità italiana, e quella del sud in particolare, sono ancora tutte da risolvere. Il tasso di migrazione di pazienti dal sud al nord è tuttora altissimo, e dalla Campania, ben 55 mila malati di tumore in un anno hanno preferito, o hanno più probabilmente dovuto, ricorrere a terapie altrove, lontani da casa. Intanto i responsabili dell’ospedale di Nola, sospesi dal servizio in attesa della conclusione dell’inchiesta, denunciano che la loro struttura ha 107 posti letto e 15 barelle, quando “ne servirebbero il doppio”.
Sta quindi alla Politica analizzare, studiare, capire, risolvere.
Una postilla di comparazione
Ma quanti sono i posti letto negli altri paesi europei, e l’Italia, come si trova, in classifica? Pur essendoci diversità di sistema molto forti (in alcuni stati, la sanità privata è molto diffusa, perché diffusa è la pratica delle assicurazioni private sanitarie; o, altrimenti, nel novero non sono conteggiati i posti delle RSA; o, ancora, è garantita una forte assistenza domiciliare), possiamo dire che non siamo messi molto bene. Ci sono paesi che hanno cifre simili alle nostre (Danimarca e Portogallo), altri che stanno lievemente sotto (Spagna, con 3,4 x 1000, e Regno Unito, con 3 x 1000), altri che hanno molti meno posti letto pubblici (Svezia, 2,7 e Irlanda, 2,9). Ma tutti gli altri hanno numeri di posti letto per ogni mille abitanti assai superiori ai nostri: dai Paesi Bassi che hanno un dato di 4,6 alla Finlandia che ne ha 5,5, fino a Belgio e Francia (6,3 e 6,6). La mitteleuropa vede la Repubblica Ceca con 7, l’Ungheria con 7,2 l’Austria con 7,7 e la Germania con addirittura 8,3 posti letto ogni mille abitanti.
- “I medici hanno fatto io proprio dovere, non vedo che responsabilità possano avere. Qua se ci sono responsabilità sono a livello apicale, a livello di Asl e 118, del perché non funziona il territorio”. Lo ha affermato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin commentando il caso di Nola a margine della presentazione dei dati sui trapianti. “La Campania – ha sottolineato – deve cambiare passo, ha tutti gli atti amministrativi fatti e ora deve solo farli attuare”. Ritengo che vedere i pazienti sdraiati a terra sia il segno di un fenomeno di natura organizzativa su cui deve essere fatto un chiarimento molto serio perché nella regione Campania i piani e gli atti amministrativi sono stati fatti, le reti sono state disegnate, poi sta a chi le deve realizzare e monitorare verificare che questo sia fatto bene” [↩]
- Per fare un esempio tra i tanti possibili: il complesso ospedaliero di Careggi, il più grande della Toscana, nel periodo 2014-2015 è passato da 1442 posti letto a 1361, migliaia di ricoveri in meno, e decine di migliaia di accessi al pronto soccorso in meno, nonostante un aumento della popolazione nel bacino d’utenza [↩]