di Marco Ottanelli
Legge 20 giugno 1952, n. 645
art. 4. (apologia del fascismo).
Chiunque, fuori del caso preveduto dall’art. 1, pubblicamente esalta esponenti, principii, fatti o metodi del fascismo
oppure le finalità antidemocratiche proprie del partito fascista è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire 500.000.
La pena è aumentata se il fatto è commesso col mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione o di propaganda.
La condanna importa la privazione dei diritti indicati nell’art. 28, comma secondo, n. 1, del codice penale per un periodo di cinque anni.
art. 5. (manifestazioni fasciste).
Chiunque con parole, gesti o in qualunque altro modo compie pubblicamente manifestazioni usuali al disciolto partito fascista è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a lire cinquantamila.
[NB: Sappiamo che la Corte costituzionale ha detto che i reati previsti dalla legge Scelba non si applicano alle semplici manifestazioni di simpatia, ma l’apologia “per assumere carattere di reato deve consistere in una esaltazione tale da poter condurre alla riorganizzazione del partito fascista” perché questo è l’unico divieto esplicitamente previsto dalla norma. Ma quanto abbiamo visto e vi vogliamo raccontare ci è sembrato comunque degno di nota.]
Che Paese è mai l’Italia? Cosa cova, nel suo seno? Quanti anni, quanti decenni, o quanti secoli dovranno passare perché questo Paese cresca, vada avanti, faccia del suo passato memoria utile e non zavorra, non freno, non legame indissolubile che ne fa l’unico paese occidentale che non progredisce, ma invecchia?
Andare a Predappio, paese natale di Benito Mussolini, significa calarsi in una dimensione particolare e un po’ surreale. Per chi, come noi, giunge dagli Appennini, dopo una estenuante serie di curve e tornanti, significa trovarsi come primo segno dell’abitato il cimitero. In fondo allo stesso, sorge la cappella di famiglia Mussolini, di dimensioni decisamente maggiori rispetto alle altre costruzioni del camposanto.
Entrando nella stessa, ci troviamo in una sala con i sepolcri dei genitori di Benito, qualche busto, e le prime targhe apposte al muro, che esaltano più o meno sommessamente il Duce e la sua parentela.
Sul lato destro, un marmo con una sua frase “profetica”, che inneggia al fatto che le tombe dei grandi non son mai lasciate in pace.
Sul lato sinistro, invece, targhe, lapidi, placche d’ottone e altri scritti imperituri, (lasciati qua da gruppi di visitatori ed organizzazioni nostalgiche) coprono la parete lungo una scala che porta sotterra nella cripta.
Leggiamo alcune di queste targhe, tutte inneggianti ovviamente a Sua Eccellenza, e tutte intrise da una passione che urla voglia di riscatto. Sono firmate da reduci della Repubblica Sociale, dai camerati di Cremona, di Lucca, di Arezzo, di Asti, di Novara, del Sud e del Nord, dalla X MAS – che evidentemente non è scomparsa – e da fedelissimi di tutta Italia. Ci sono quelle dei vecchietti, ex combattenti camicie nere, e quelle dei giovani, che non lo hanno conosciuto, ma lo amano.
Quel che più ci sconforta è che la stragrande maggioranza di tali ex voto sono datati in tempi recentissimi. Moltissimi, la maggioranza, appartengono alla II repubblica, sono quindi stati apposti dal 1994 ad oggi. L’effetto dello “sdoganamento” ha raggiunto anche i morti, per opera dei vivi. La più recente, salvo errori, ci pare quella datata 29 luglio 2007. Fa un po’ impressione il linguaggio aulico che la caratterizza, e fa un po’ impressione che, nel XXI secolo, qualcuno ancora si prenda la briga di fare questo per il dittatore Mussolini.
Scendiamo le scale, e ci troviamo davanti una serie di sarcofagi. Ci sono, qua, i parenti più stretti, i figli, i fratelli, e Donna Rachele. Claretta Petacci, povera amante, non è pervenuta.
Al centro, in una sub-cripta, LUI. La sua arca. Sovrastato da un testone-ritratto di marmo, il corpo del Duce. Attorno, davanti, dietro, fiori e corone. In alto, su una mensola, una bandiera italiana a mo’ di sacchetto, sulla quale è scritto a pennarello “sabbia di El Alamein”, come se fosse un vanto, un ricordo da onorare, una cosa bella e commovente e non il luogo tragico in cui, tra sofferenze indicibili, decine di migliaia di uomini si affrontarono nel deserto egiziano, e, complessivamente, 50 mila di loro morirono sul campo, vittime anche della disorganizzazione causata dal governo fascista.
Davanti al sepolcro, il libro delle firme. Sono decine ogni giorno, corredate di piccole frasi, piccoli pensieri. Si parla di amore, di gloria, di bei tempi, di lotte compiute e da farsi, di sangue che laverà onte e di fedeltà assolute. Ma tanti, tantissimi, giovani, vecchi, singoli, gruppi, firmano dopo aver auspicato il ritorno di Benito Mussolini. “Torna tra noi” “ti aspettiamo” “quando tornerai..” “devi tornare a guidarci”… ci prende una sorta di turbamento difronte ad una simile religiosità, in questo auspicio cristico nella resurrezione fisica, oltre che morale, di un uomo, un semplice uomo mortale.
Qua non si tratta di semplice nostalgia, né di ideologia, e neanche di mito: è religione, è fede. E’ magia, mistero, fascinazione mistica.
Improvvisamente sentiamo l’aria del sotterraneo diventare pesante, il profumo dolciastro dei fiori ci soffoca, usciamo. Andiamo a visitare la splendida chiesa romanica di San Cassiano. Modificata pesantemente (e rozzamente) negli anni ’30, la navata centrale ingombrata da un improbabile scalone datato XII anno dell’era fascista. Accanto al fonte battesimale, un cartellino indica che, guarda guarda, lì fu battezzata una “quercia” della nostra storia…
Poi, ci dirigiamo a Predappio vera e propria. Oddio, la Predappio vera e propria sarebbe l’attuale Predappio Alta, un borgo piuttosto grazioso, tranquillo e silenzioso sulla collina, perché la Città Nuova in pianura è il sogno dell’era fascista, edificata fin dal 1926/27 per glorificare il luogo natìo del Duce. Un ampio vialone si apre in quella che era una campagna agricola. Lungo di esso, dritto e solenne, edifici costruiti secondo un piano e uno stile precisi e pianificati, effettivamente non brutti né illogici, ma curati stilisticamente e in parte addolciti da una nota di localismo romagnolo. Caserma dei Carabinieri, scuole, case, il cinema-teatro… se non fosse per la chiesona, eccessiva e pesante, e per quello che supponiamo dovesse essere il “Palazzo di Governo”, il tutto sarebbe anche gradevole. Una Pienza del XX secolo, mai terminata e oggi custode di ricordi degli anni ’30, come recitano alcune insegne di negozi e alimentari.
In quella che è diventata una scuola materna, leggiamo essere presente una “pregevole composizione in maiolica portoghese” raffigurante la Madonna del Fascio. E’ un attimo: ci scambiamo uno sguardo
e suoniamo. Le gentili suore Orsoline (…pensavamo fossero una leggenda, fatta di fanciulle timorate di Dio, ma le Orsoline esistono!!) ci permettono la visita, e ci troviamo davanti un’opera eccezionale. Vicino al refettorio, in uno stanzone di passaggio con giochi e decorazioni per i bimbi, sulla parete incombe questa raffigurazione incredibile: in stile liberty, ma con pretese rinascimentali e toscaneggianti, una Vergine con il Bambino benedicente accoglie il dono che due angeli le porgono: un Fascio Littorio bell’e buono.
Nel clima festante, giunge un corteo, lo si intravede sullo sfondo, guidato dalla bandiera sabauda, dal fascio (ancora) e dall’aquila imperiale romana. Ancora fede, religione, fascismo.
La leggenda narra di una suorina, morta poco fa, che salvò dalla distruzione questo mosaico con un trucco, dipingendo sul fascio un mazzo di rose, ed impedendo quindi alla furia partigiana, caduta nell’inganno, di scatenarsi sulla madonnina. Ma è una storiella così ingenua e così poetica che non ci pare vera.
E la suorina doveva aver le sue simpatie politiche… Rimaniamo affascinati, possiamo dirlo, da questa testimonianza storico-artistica, e riprendiamo il percorso.
Che a questo punto, diventa pesante. Inquietante, sicuramente capace di suscitarci molte domande.
Il paese ha tre grandi negozi di souvenir. Vi si vende
tutto quanto ha a che fare, o potrebbe avere a che fare, con Mussolini ed il fascismo. Son negozi belli grossi e fornitissimi di ogni ammennicolo possibile ed immaginabile. Quindi, per essere in attività, vuol dire che vendono.
Gli articoli presenti sono vari. Si va dalla pura paccottiglia come il limoncello o il vino sangiovese di etichetta “impero” o “littorio” o similari, dagli orologi con simboli e ritratti ad hoc, fino a gagliardetti e spille (originali o made in Taiwan?) che sarebbero appartenute a battaglioni d’assalto, a manipoli di camicie nere, a federazioni di camerati… Ci sono i riferimenti e gli stemmi di tutti i corpi militari e paramilitari del Ventennio. Ci sono poi i simboli fascisti e quelli nazisti: croci celtiche, svastiche, ritratti del fuhrer e di Mussolini. Busti, statuette, pupazzetti, quadri…
Ci sono daghe e gladii (insomma, spade e coltellacci) da 30 euro in su. Manganelli e mazze con scritte minacciose. E poi, le solite roboanti frasi degli Arditi, dei fasci di combattimento, della X Mas… tutto su bandiere, magliette, bandane.
Chi stramaledice gli inglesi, chi promette mazzate, chi giura su vittorie finali. Insomma, “Memento audere semper”, e ovviamente, “credere, obbedire, combattere”
Toppe adesive a 2 euro con la bandiera nazista, e poi portachiavi, berretti, calendari.
Ci sono i quadri di Romano Mussolini, e le riproduzioni di prime pagine di giornali d’epoca ( e che epoca!).
Saliamo, in collina, fino alla casa natale di Mussolini. Fu partorito al primo piano. Qua l’atmosfera è lieve. I vicini hanno molti fiori. Non ci sono orpelli.
A Predappio Alta, una targa discreta celebra un altro illustre cittadino, Adone Zoli. Democristiano, curioso destino: fu lui, da Ministro di Grazia e Giustizia, a firmare la legge 652 del 1952 che impediva, (impedisce? Impedirebbe?) la ricostituzione del Partito Fascista.