di Claudio Moretti
PARTE SECONDA dell’analisi
PARTE TERZA dell’analisi
Dal 01/12/2012 le Agenzie fiscali italiane sono diventate due: l’Agenzia delle Dogane e Monopoli e l’Agenzia delle Entrate e Territorio con l’incorporazione quindi dei Monopoli nelle Dogane e del Territorio nelle Entrate.
Questa incorporazione mi lascia alquanto perplesso soprattutto riguardo la funzionalità e la capacità di gestire, accertare, riscuotere e sanzionare gli illeciti. Cosa abbiamo in comune il dazio e i gratta e vinci o l’Iva e le visure catastali, è un mistero. Le Agenzie di dimensioni giganti non possono che aumentare la confusione sulle competenze, sulla gestione e sugli obiettivi.
Però, mentre l’Agenzia delle Entrate ha una grande visibilità e tutti conoscono il suo attuale (del 2014) direttore generale Attilio Befera, l’Agenzia delle Dogane non la conosce nessuno, e pochi sanno chi ne sia il direttore generale (per la cronaca: Giuseppe Peleggi). Questo cono d’ombra si stende quindi anche sull’attività di questa Agenzia che, si badi bene, apporta all’Erario introiti superiori a quelli delle Entrate. Basti pensare alle accise sui carburanti, all’energia elettrica, alle lotterie, ai giochi… etc.
Vediamo allora se in Dogana sia possibile recuperare Iva evasa (problema enorme) e trovare risorse, ossia spieghiamo come potrebbe intervenire il legislatore, il politico, l’Amministrazione, o chi volete, per rendere minore il peso fiscale sulle nostre spalle. I problemi, le criticità, ma conseguentemente, nascoste tra le pieghe degli stessi, le soluzioni, si trovano, schematicamente, in una serie di punti. Elenchiamoli.
1. il vetusto sistema sanzionatorio doganale;
2. la legge 449/97 art.4, comma 20, ossia “pago l’Iva quando mi va”;
3. l’art. 19 D.Lgs. 374/90: le costruzioni sulle spiagge;
4. il mancato introito Iva + Accise sulle sigarette dei viaggiatori;
5. il D.L. 35/2005 art. 1 comma 7 convertito nella legge 80/2005. Cosa si può concretamente ed efficacemente fare per combattere la contraffazione;
6. gli art, 11, 12, 13 e l’art. 16 della legge 689/81: “il pagamento intero è minore dell’agevolato”;
7. l’art. 38 quater DPR 633/72: il caos e la facile evasione Iva nelle vendite ai turisti stranieri;
8. la presa in giro dei Duty Free Shops;
Ecco alcuni suggerimenti, le soluzioni, quindi, a queste criticità, punto per punto, in una serie di articoli. Questo, il primo, analizzerà il punti 1 ed 2. Gli altri saranno spiegati nelle prossime settimane. Cominciamo.
1. il vetusto sistema sanzionatorio doganale;
Il sistema sanzionatorio doganale si basa sul DPR 43/73 … una legge del 1973, quando gli aerei erano ad elica e i treni a carbone, mentre l’Europa era ad otto Stati.
Il manifesto elettronico – il sistema che consente il tracciamento elettronico ed il controllo automatizzato delle operazioni di esportazione in ambito comunitario – all’epoca non era neanche ipotizzabile, il contrabbando era con gli spalloni, eppure le norme sanzionatorie da allora sono le stesse!
Per le regole di riparto delle competenze tra UE e Stati membri, il Codice Doganale Comunitario e le leggi comunitarie non contemplano, né possono contemplare, sanzioni, che sono stabilite da ogni singolo Stato. Così, mentre l’Europa legifera – e lo fa puntualmente e approfonditamente dato che l’unica Europa che funziona è proprio quella doganale, con le frontiere abolite e le regole import/export uguali per tutti: cittadini e istituzioni – introducendo procedure ed istituti sempre più evoluti, in caso di trasgressione delle norme applichiamo una legge del 1973, integrata e aggiornata da leggi e leggine, che si sono susseguite nel tempo senza un disegno organico, senza quindi formare un contesto omogeneo, con l’ovvio risultato dell’incertezza del diritto, foriera di confusione e facili evasioni.
Basta leggere gli articoli dal 282 al 322 del predetto DPR 43/73, dove sono previste tutte le sanzioni penali ed amministrative, per rendersi conto di questa assurdità. Mentre gli articoli precedenti al 282 disciplinano tutte le attività della dogana, dando attuazione a quanto stabilito dai Regolamenti comunitari che, come noto, hanno prevalgono sulla legge nazionale. La difficoltà e quindi la precarietà di far convivere una disposizione legislativa del 1973 con una del 2013 è del tutto evidente.
Mi chiedo cosa abbiano fatto i molto ben remunerati Vertici dell’Agenzia delle Dogane fino ad ora quando, forse, bastava abolire il predetto DPR, conformandosi alla normativa doganale comunitaria, come hanno fatto gli altri Stati, e prevedere così un sistema sanzionatorio omogeneo, efficace ed attuale. Forse troppo semplice, meglio allora affidarsi al vecchio Testo Unico (TULD), integrato qua e là, come accennato, dalle sanzioni previste dalle leggi e leggine. Ecco allora il proliferare del contenzioso e dei ricorsi alle Commissioni Tributarie.
L’effettivo significato delle leggi è esclusivamente dettato dalla giurisprudenza e non dal legislatore. In pratica se si deve affrontare un ricorso in Commissione Tributaria, la prima cosa da fare è quella di cercare i precedenti giurisprudenziali inerenti l’oggetto del ricorso per poter supportare le proprie tesi, siano essi di altre Comm. Tributarie o della Cassazione. Le norme sono infatti talmente vecchie e “ciancicate” che possono essere interpretate in modi opposti. Siamo praticamente al sistema americano, quello dei precedenti.
Di seguito alcuni casi che, seppure un po’ tecnici, fanno capire cosa può sottendere una norma.
2. la legge 449/97 art.4, comma 20, ossia “pago l’Iva quando mi va”
Legge 449/97 art. 20 comma 4: stabilisce che quando emergono inesattezze, omissioni o errori relativi agli elementi posti a base dell’accertamento (qualità, quantità, valore ed origine) il dichiarante può chiedere spontaneamente la revisione dell’accertamento di cui all’art. 11 del D.Lgs 374/90. In parole povere quando l’importatore/esportatore si accorge di aver sbagliato qualcosa nella dichiarazione (bolletta) già presentata in dogana può chiedere di rettificarla, sempre che la Dogana non abbia già proceduto all’accertamento.
In tal caso non si applicano sanzioni amministrative e gli interessi di mora, cui all’art. 86 del TULD, sugli eventuali maggiori diritti ( dazio + Iva), sono dovuti solo nel caso in cui l’istanza di revisione di parte sia presentata oltre novanta giorni dopo la data in cui l’accertamento è divenuto definitivo.
Può accadere quindi – ed accade – che un dichiarante inoltri istanza di revisione per aver dichiarato una quantità ed un valore minori rispetto ai reali in una bolletta esitata in precedenza (ad esempio per aver omesso di considerare una fattura di acquisto all’atto della importazione). In questo caso i presupposti della norma in oggetto sono presenti e la dichiarazione viene rettificata senza alcuna sanzione a carico dell’importatore.
Però a ragionare bene nella fattispecie sopra esposta, la merce in più, non dichiarata nella bolletta di importazione, risulta essere stata introdotta nel territorio comunitario di contrabbando. Prova ne sia che se, subito dopo l’uscita dagli spazi doganali, la Guardia di Finanza fermasse il Tir, su cui era caricata, riscontrerebbe una quantità maggiore rispetto al dichiarato, con conseguente corretta elevazione di verbale di contrabbando.
Dal momento che il contrabbando è un reato cosiddetto “permanente”, ci si chiede se una norma di carattere amministrativo/ tributario, attivata su istanza di parte, possa estinguere un illecito penale. Per capirlo dobbiamo serve prima un’ulteriore riflessione.
Solo il 5% circa delle dichiarazioni di importazione ed esportazione presentate alla Dogana italiana vengono visitate, sono cioè sottoposte a controllo; le altre sono accettate e liquidate, così come dichiarate dallo spedizioniere, con la merce che viene immediatamente inoltrata a destino. Le imp./exp. che possono essere quindi revisionate modificando il dato della quantità, qualità, valore ed origine a richiesta della parte (importatore, esportatore, spedizioniere, doganalista) sono il 95%. Se la revisione è richiesta dalla parte entro 90 giorni è a COSTO ZERO in quanto la norma non prevede sanzioni, interessi di mora e bolli per la domanda.
È incomprensibile la ratio di questa agevolazione se si pensa che l’art. 13 del D.Lgs. 471/97 prevede il pagamento di interessi di mora per ogni giorno di ritardo nel versamento di un qualsiasi altro tributo.
Nell’esempio che abbiamo fatto il dazio e l’Iva dovuti sulla merce, eccedente a quanto dichiarato nella bolletta di importazione, sono versati solo quando viene presentata la domanda di revisione con allegata la fattura per la merce in più. Se il ritardo è inferiore a 90 giorni rispetto alla data dell’importazione non ci sono interessi per il ritardato pagamento dei diritti (dazio + Iva) e mai si commina sanzione anche se il periodo supera i 90 giorni.
Quanto sopra esposto evidenzia un assurdo e una palese ingiustizia tributaria: mentre il ritardato versamento dell’Iva domestica venga penalizzato anche per un solo giorno di ritardo, mentre l’Iva da pagare in dogana gode di una franchigia di 90 giorni ed è esente da sanzioni: neanche il costo di una marca da bollo è in capo all’importatore.
Nessuno si sarebbe scandalizzato se nella manovra finanziaria questa ingiustizia fosse stata corretta. Si pensi che le revisioni su istanza di parte sono presentate anche e in numero superiore per le esportazioni.
Soltanto stabilendo che la domanda dell’importatore debba essere corredata da marca da bollo, le entrate aumenterebbero di circa 10 milioni di euro in un anno che, di questi tempi, non sono certo da buttare.
Equiparando poi il pagamento degli interessi di mora a quelli dell’Iva domestica, le entrate dell’erario riceverebbe un grande incremento, in una misura qui non quantificabile, e si sanerebbe, si ribadisce, un’incomprensibile sperequazione.
Quanto abbiamo detto consente altre facili e più pericolose elusioni, sia per le importazioni che per le esportazioni:
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Sanare eccedenze e mancanze di magazzino mediante fatture di imp o exp appositamente emesse e allegate alla richiesta di revisione;
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Rateizzare il pagamento dei diritti dichiarando con la prima importazione un valore inferiore e successivamente compensarlo con il valore reale;
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Sovrafatturare o sottofatturare per consentire ingresso o uscita di valuta;
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Eludere restrizioni o usufruire di agevolazioni correggendo successivamente la qualità della merce;
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Aggirare divieti economici e tariffari mediante la correzione dell’origine dei prodotti;
Esempio concreto: l’esportazione di un prodotto chimico necessita di determinate autorizzazioni per essere importato/esportato da/per un certo Stato. Le autorizzazioni non sono nella disponibilità al momento dell’operazione così si dichiara il prodotto con un’altra voce doganale, priva di restrizioni, per poi correggerla, una volta a destino, con quella vera mediante una richiesta di revisione.
Ci si limita solo agli esempi di cui sopra in quanto ciò che preme sottolineare è come l’art. 20 comma 4 della legge 449/97 debba essere cancellato e la revisione dell’accertamento su istanza di parte completamente riformata.